venerdì 16 agosto 2024
Il progetto del I Municipio, avallato dal Comune, prevede recinti per evitare i bivacchi notturni. Chi conosce bene la realtà degli ultimi, però, rilancia altre soluzioni. A cominciare da Sant'Egidio
Senza dimora sotto i portici della stazione Termini di Roma

Senza dimora sotto i portici della stazione Termini di Roma - Fotogramma

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Lo chiamano “il dente cariato”: un po’ per la morfologia, un po’ perché dà proprio l’idea di qualcosa andata a male, con quel brutto colpo d’occhio, una volta usciti dalla stazione Termini sulla sinistra, di un “serpentone” con oltre 20 tra negozi e fast food. Una “carie” che si spinge verso piazza dei Cinquecento, i cui due portici al tramonto diventano l’unica dimora di chi un posto per dormire proprio non ce l’ha e si adatta alla meglio, tra cartoni, vecchie coperte, sporcizia ovunque e piccioni che arrivano a beccare anche i piedi.

In base ad un progetto avviato dal I Municipio, il “dente cariato” è destinato ad essere abbattuto e ricostruito in maniera più decorosa, mentre per i due portici di piazza dei Cinquecento, realizzati un secolo e mezzo fa con l’intenzione di farne il biglietto d’ingresso della Capitale per quanti arrivavano a Termini, il proposito è quello di chiuderlo con dei cancelli, recintarli in pratica, per impedirne l’accesso notturno ai senzatetto. Cancellate che dovrebbero poi estendersi all’area del Giardino di Dogali, nella limitrofa piazza della Repubblica, e a viale Pretoriano. Un progetto che, come detto, è del I Municipio, ma che al Comune di Roma già conoscono e a quanto pare condividono, come ha affermato l’assessore ai Lavori pubblici, Ornella Segnalini, al Messaggero: «Lavoriamo in strettissimo contatto. La soluzione studiata per evitare che quei portici diventino il dormitorio di senza fissa dimora è di apporre una cancellata».

Un progetto attorno al quale già si registra una divisione abbastanza netta tra commercianti e residenti, mentre sul fronte del volontariato sociale non raccoglie certo adesioni entusiaste, anzi. «La soluzione non può essere certo quella di spostare i senza fissa dimora duecento metri più avanti», dichiara Massimiliano Signifredi, che quelle zone attorno alla stazione Termini le conosce come le sue tasche, visto che è il coordinatore delle cosiddette “Cene itineranti” di Sant’Egidio e in particolare dei 30-40 giovani universitari fuori sede che portano cibo, amicizia e calore umano agli ultimi di questa zona tra le più degradate della Capitale, nel solco di un’esperienza e di una presenza ultraventennale della Comunità.

La stazione si riempie di persone senza dimora soprattutto di notte

La stazione si riempie di persone senza dimora soprattutto di notte - Ansa

«Della tutela del decoro pubblico, della salute, della sicurezza e anche dell’opportuna salvaguardia di monumenti che hanno una loro storia – riprende Signifredi – si parla da tanti anni, ma noi crediamo che l’inizio della soluzione sia invece quello dell’installazione delle quattro tensostrutture, una delle quali è prevista proprio vicino alla stazione Termini. Questo consentirebbe ai volontari delle associazioni di incontrare le persone in un contesto senza dubbio migliore di quello della strada.

Per Sant'Egidio non esistono soluzioni generali e generalizzate, «ma siamo convinti che qualsiasi intervento va affrontato con la singola persona. Le cause che portano una persona a finire sulla strada, senza più un tetto, possono essere diverse e vanno affrontate singolarmente, conosciute al meglio, per proporre soluzioni adeguate, come ci insegna la nostra esperienza molto radicata a Roma con i senza dimora e rispetto alla quale ci muoviamo già con interventi concreti. Poco tempo fa, ad esempio, i nostri volontari hanno incontrato una donna indiana che viveva in condizioni estreme proprio sotto i portici di via Giolitti e aveva messo su una sorta di capanna con dei cartoni: incontrandola, cercando di capirne esigenze e aspettative e dialogando anche con pazienza, siamo riusciti a trovare una soluzione adatta per lei che ora vive in una struttura fuori Roma. Questo non sarebbe stato possibile realizzando dei luoghi chiusi che, ripeto, alla fine sposterebbero solo il problema di qualche centinaio di metri. Invece noi vogliamo incontrare le persone che hanno dei problemi, compresi quelli di salute mentale, sempre più numerosi». Ed ecco dunque che per la Comunità di Sant’Egidio tornerebbero invece utili le quattro tensostrutture: una per l’appunto nei paraggi di Termini e le altre nei pressi delle stazioni Tiburtina, Ostiense e San Paolo.

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