Uno striscione comparso a Castel Volturno nel 2012 in occasione della confisca di un bene alla camorra - Antonio Maria Mira
Peggiora la trasparenza dei Comuni sui beni confiscati. Sempre più “insufficiente”, al Sud come al Nord. Lo denuncia Libera presentando “RimanDATI” il secondo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
L’occasione è il 40mo anniversario della legge Rognoni-La Torre, promulgata il 13 settembre 1982, che introduceva il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, il 416bis, e la confisca dei beni della criminalità organizzata. Beni che, oltre che per fini istituzionali (caserme, commissariati, scuole, ecc.), sono assegnati ai Comuni per poi essere utilizzati a fini sociali, come prevede la legge 109 del 1996. Ma per realizzare ciò serve in primo luogo la trasparenza. Invece ben sei Comuni su dieci non pubblicano l’elenco e le informazioni sul loro sito Internet, notizie fondamentali per controllare lo stato della gestione dei beni tolti alle mafie. Su 1.073 comuni monitorati dal Report di Libera e destinatari di beni immobili confiscati, ben 681 non pubblicano elenco e informazioni. Ciò significa che il 64% dei Comuni è totalmente inadempiente rispetto agli obblighi di legge. E la mancanza di queste informazioni spesso impedisce che questi beni siano poi realmente e efficacemente utilizzati. Una situazione in peggioramento, infatti nel 2021 in occasione del primo Report i comuni inadempienti erano il 62%.
A livello regionale tra le più “virtuose” la Campania, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Lazio. Tra le regioni meno trasparenti Calabria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Toscana. Rimandate senza appello Basilicata, Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, dove i Comuni destinatari di beni confiscati non pubblicano nessuna informazione.
Il primato negativo in termini assoluti spetta ai Comuni del Sud comprese le Isole con ben 400 Comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord con 215 e il Centro con 66. Non va meglio per gli Enti sovra territoriali: su 10 Province e Città metropolitane destinatarie di beni confiscati, il 50% non pubblica gli elenchi. Delle 6 Regioni, solo 2 (Calabria e Piemonte) adempiono all’obbligo di pubblicazione.
Il Report di Libera rappresenta uno spaccato importante sulla capacità degli Enti territoriali di rendere pienamente conoscibili e accessibili le informazioni sull’enorme patrimonio immobiliare sottratto alle mafie e destinato a tornare alla collettività attraverso i Comuni.
E ricordiamo che sono poco più di 19mila i beni immobili destinati, in gran parte agli enti locali, mentre più di 22mila sono quelli ancora in gestione da parte dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati e sequestrati e in attesa di essere destinati. Dunque, ricorda Libera, “sono proprio i Comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. Eppure, proprio a livello comunale le potenzialità della 'filiera della confisca' sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni”. Beni che, non poche volte, rimangono inutilizzati se non addirittura ancora in mano ai mafiosi. E non è certo un caso che in quasi tutti i decreti di scioglimento dei consigli comunali per condizionamento mafioso ci sia la non gestione dei beni confiscati.
Il Report fotografa una situazione in evoluzione, in meglio e in peggio. Così il dato regionale mostra un significativo aumento degli Enti che pubblicano in Campania (dal 34% del 2021 al 56,5% del 2022) e Puglia (dal 43% del 2021 al 48,5% del 2022), una diminuzione invece soprattutto in Calabria (dal 37% del 2021 al 18,8% del 2022) e Sicilia (dal 42% del 2021 al 29,9% del 2022). E il monitoraggio ha fatto emergere anche la carenza di informazioni fondamentali sulla vita del bene confiscato: il 15% dei Comuni non specificano i dati catastali, l’11% non specificano tipologia, il 13% l’ubicazione e ben il 40% non specificano la consistenza (informazioni sulla metratura o sugli ettari del bene confiscato).
“Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente - dichiara Tatiana Giannone, referente nazionale Beni Confiscati di Libera - vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata, che solo conoscendo può progettare e programmare nuovi spazi comuni. Alla conoscenza del patrimonio e del territorio, del resto, è strettamente legata la capacità di utilizzare i fondi pubblici per la valorizzazione dei beni confiscati, nella fase di ristrutturazione e in quella di gestione dell’esperienza di riutilizzo”. Dunque, aggiunge, “non si deve abbassare l’attenzione sulle criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti. Il bando del PNRR e la nuova programmazione europea delle politiche di coesione saranno, quindi, un banco di prova importante per le istituzioni tutte, ma soprattutto per il potere di monitoraggio della società civile”.