venerdì 27 marzo 2020
Il doppio discorso in Parlamento del premier Conte apre una pagina nuova. Le domande su strategie adottate, politica industriale e scelte da fare
Le alternative per ripartire

Ansa

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Il doppio discorso in Parlamento del presidente Giuseppe Conte, oltre 50 giorni dopo lo sbarco del virus in Italia, ha aperto una pagina nuova nella gestione della «crisi più difficile dal dopoguerra». In primo luogo archivia la stagione dell’"uomo solo al comando", proprio mentre il premier ingaggia un braccio di ferro con la Ue. E lo fa mentre torna sulla scena il nome di Mario Draghi, autore di un poderoso articolo in cui esorta tutti a ribaltare il paradigma, facendo anche più debito pubblico per stoppare una profonda recessione (senza sbilanciarsi, però, su quali regole mettere in campo per il dopo, nell’Ue e nel mondo).

Il tempo della pandemia si conferma così quello del "ritorno della competenza", alla vigilia di una stagione che farà tremare i polsi, a colpi di manovre da 50 miliardi di euro e oltre, mentre consegna agli annali le immagini dei parlamentari "imbavagliati" dietro le mascherine. Va riconosciuta a Conte, davanti a questa prova enorme («Chi se lo immaginava?», ha ammesso lui stesso), una fermezza non comune in Italia e in Europa. Il quadro evolve, tuttavia. Il perdurare dello stato di emergenza, con libertà private, alimenta i timori che la consapevolezza di un sacrificio collettivo mostrata da 60 milioni d’italiani possa produrre, se non tensioni, un senso d’insoddisfazione.

Nella maggioranza Iv evoca una commissione d’inchiesta, il Pd si spende per coinvolgere le opposizioni. Mossa comprensibile, nell’intento di dare una corresponsabilità a Lega, Fdi e Fi. «Verrà il tempo dei bilanci», ha detto Conte. E al governo va dato atto, a esempio, di aver accresciuto del 50% i posti di terapia intensiva nelle zone critiche. Le parole del premier, tuttavia, lasciano sospese alcune riflessioni, come inevitabile in una stagione che ha visto una sottovalutazione del contagio costante e trasversale a tutta l’Europa. C’è già stata una correzione di rotta: un decreto-legge per fare ordine era necessario, dopo troppe misure assunte con inedita autonomia presidenziale sull'onda dell'evidente drammaticità della fase. Abbiamo visto annunci fatti di notte, senza un testo definito, senza il vaglio di un Cdm o di un confronto con le opposizioni.

Decisioni cruciali per il Paese sono state prese da poche persone. In poche stanze. Con la prospettiva di farle approvare in un Parlamento semichiuso (in 15 giorni si era riunito solo una volta…). Altre domande si affacciano. Manovre di bilancio così ingenti come quelle che si profilano non richiedono di ripensare anche talune scelte economiche fatte di recente (incluso il taglio del cuneo fiscale, al voto finale il 31 marzo)? Si "spegne" gran parte dell’industria nazionale, il che produrrà effetti pesantissimi sulla carne viva delle persone. Decisione pesante da prendere, ma perché non si è "chiuso" prima visto che a motivo, anche da queste colonne, lo si reclamava già da un paio di settimane?

E ancora, davanti a un costo economico che sarà ultra-miliardario, e pur tenendo conto delle difficoltà a reperire strumenti nella lotta al virus, non si poteva partire già a inizio marzo con misure tipo un "piano tamponi", almeno come screening di massa per scovare i casi più lievi e frenare la forza del virus? Emerge qui un altro nodo: l’Italia del G7 si scopre a corto di risorse professionali e anche tecniche. Incredibile appare la penuria di mascherine, reagenti e ventilatori, al centro oggi di una nuova guerra (commerciale). In un Paese che pur vanta distretti biomedicali d’eccellenza, scopriamo ora che ciò accade perché non esistono aziende in grado di produrre a livelli adeguati tali ausili. Una riflessione sulla nostra politica industriale va fatta allora, in vista del rilancio degli investimenti che dovrà esserci post-crisi: è un’eresia pensare, assieme a più fondi per la sanità, a un’industria forte nel settore, anche pubblica, dato che la tutela della salute è prevista dalla Costituzione?

Conte ha usato spesso la frase «non ci sono alternative». Quello che verrà, una volta superato tutto ciò, sarà un "dopo" che richiederà grandi scelte. In tanti settori. Non si potrà ripartire come prima. È con una grande alternativa, in fondo, che stiamo "rovesciando" il Paese per debellare il virus. Ed è con altre alternative, frutto di idee chiare e solidali, che bisognerà avere la forza di ripartire, per scrivere pagine nuove per il Paese. E rinsaldarne la coesione.

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