martedì 10 maggio 2011
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La morte si nascondeva la sotto, schiacciata tra il ventre del grande peschereccio e gli scogli accuminati di “Cavallo Bianco”. Proprio dove, affacciata sul mare, c’è la “Porta di Lampedusa”, la scultura che rappresenta il primo ingresso in Europa, per chi viene dal Sud del mondo, e realizzata dallo scultore Mimmo Paladino nel 2008. Una “memoria” di pietra che vuole simboleggiare la vita di chi ci è riuscito a “domare” le onde del Mediterraneo, ma anche la morte di quanti, e sono decine di migliaia, non sono riusciti a solcare la rotta della disperazione che attraversa il “Mare nostrum”, in cerca di qualche speranza.Come quei tre cadaveri che, ieri mattina, i sommozzatori della Capitaneria di porto dell’isola si sono visti davanti alle loro maschere da sub, quando si sono immersi in acqua a scrutare i resti del peschereccio: li hanno trovati schiacciati sotto la grande barca azzurra salpata dalla Libia e naufragata nella notte tra sabato e domenica a Lampedusa, a pochi metri dalla salvezza.I sub si erano immersi in acqua ieri mattina, per recuperare del materiale utilizzato nelle drammatiche fasi del soccorso, avvenuto quando pochi minuti dopo le quattro della mattina di domenica, il barcone con 531 profughi, per un guasto al timone, si andava a schiantare all’imboccatura del porto di Lampedusa. Era stata una lunga notte di paura, con quella catena umana fatta di coraggio e forza di volontà composta da forze dell’ordine, volontari e semplici cittadini, immersa nell’acqua gelida a cercare di fare presto per salvare somali, nigeriani, libici. A decine e decine sembrava non dover finire mai il terrore, i pianti e le urla che sbucava dal ventre del peschereccio che giaceva ferito sugli scogli, ma ancora in balia delle onde. C’era chi si gettava in acqua, pur non sapendo nuotare, mentre il grande barcone continuava a piegarsi su di un fianco. Una notte buia, senza luna, soltanto rischiarata dalle fotoelettriche dei soccorritori protesi in una grande gara di umanità e coraggio, dove la forza fisica è il motore spinto al massimo in una corsa contro il tempo per salvare delle vite umane. E attorno a quel buio, mentre il mare sbatteva il legno contro le rocce accuminate, c’erano le grida di paura, il pianto di tanti bambini e le urla delle molte madri che cercavano il loro figli smarriti nella confusione. Poi, però, dopo ore di paura, c’era stata anche la gioia di averli «salvati tutti». Tutti 528, strappati a uno scenario da film del terrore, mentre sempre quella notte approdava in porto un’altra motonave con 842 migranti partiti sempre dalla costa della Libia.Ma ieri mattina, invece, e del tutto quasi accidentalmente, per via di quell’intervento dei sommozzatori, la bella notizia si è sciolta come neve al sole, per tingersi di tragedia. Un’altra volta, un’altra vicenda di migranti del mare che si ammanta di lutto, ancora dei morti. Che nessuno reclamerà, perché nessuno conosce i nomi di questi cadaveri: nessuno dei 528 salvati ne ha rivendicato la scomparsa al momento del loro salvataggio e dunque si presume che i tre viaggiassero da soli. Nel naufragio, la prua del grande barcone era finita sulle rocce, la chiglia incastrata nel fondale e la fiancata piegata e la sotto i tre cadaveri rimasti incastrati sotto il barcone. Uomini giovani, tutti e tre con una età stimata sui 25 anni, hanno confermato dalla Capitaneria di porto, dopo che i corpi sono stati ricomposti nella camera mortuaria del Poliambulatorio di Lampedusa. Sul luogo della tragedia sono rimasti tre sacchi neri riempiti con gli oggetti, soprattutto gli abiti inzuppati di acqua abbandonati nel momento del salvataggio e a testimoniare che erano in tanti, sparse sulla roccia, ancora si contano decine di foglietti con le istruzioni sull’uso delle coperte isotermiche.Uno dei tre a un primo esame medico condotto dal direttore del Poliambulatorio, dottor Pietro Bartolo, sarebbe deceduto prima di cadere in acqua, per «trauma da schiacciamento». Per gli altri due, invece, la morte è avvenuta quasi sicuramente per annegamento. Anche ieri mattina c’è stato un approdo, però sull’isola di Pantelleria. Una imbarcazione con una trentina di tunisini. Intanto, per impedire il congestionamento di Lampedusa, il traghetto “Excelsior”, a cala Pisana, ieri, imbarcava un migliaio di immigrati, compresi i 528 del naufragio, da trasportare sulla terra ferma.
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