sabato 27 maggio 2023
Lo Stato sotto attacco: nove bombe, 21 vittime, oltre ad altri due attentati con altre due persone colpite. Tra i protagonisti del terrore anche Matteo Messina Denaro
Autobomba della mafia in via Palestro a Milano: 5 morti. Era il 27 luglio del 1993

Autobomba della mafia in via Palestro a Milano: 5 morti. Era il 27 luglio del 1993 - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Nove bombe, 21 vittime, oltre ad altri due attentati con altre due vittime. E’ la “stagione stragista” di cosa nostra, allora guidata dai “corleonesi” di Riina e Provenzano. Per colpire magistrati e uomini delle forze dell’ordine che erano ritenuti troppo “pericolosi” ma anche per colpire lo Stato dopo il maxiprocesso che aveva duramente colpito la mafia siciliana e per tentare di spingerlo ad allentare le misure contro i mafiosi.

Un progetto, al quale partecipò in parte anche la ‘ndrangheta, su cui ancora indagano le procure di Caltanissetta, Reggio Calabria e Firenze, per scoprire “entità esterne” che si allearono coi mafiosi. All’elenco che segue va aggiunto il fallito attentato con una bomba il 14 aprile 1994 a Totuccio Contorno, “pentito” molto importante al maxiprocesso, vicino alla sua villa di Formello, nella campagna romana.

A organizzarlo Matteo Messina Denaro che fu anche nel gruppo di fuoco, assieme ad altri due mafiosi di peso come Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, che provò ad uccidere il 14 settembre 1992, sul lungomare “Fata Morgana” di Mazara del Vallo, il commissario Rino Germanà. Doveva essere un ulteriore delitto eccellente di quell’anno terribile, era il terzo della lista dopo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, coi quali Germanà aveva lavorato strettamente e ancora lo faceva, soprattutto sull’intreccio mafia-politica affari. Indagini delicatissime che dovevano essere bloccate. E sulle quali sta cercando ancora oggi di fare chiarezza la procura di Caltanissetta.

Capaci e Via D’Amelio
Il 23 maggio e il 19 luglio 1992 due attentati uccisero i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, sua moglie, e Paolo Borsellino. E gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Agostino Catalano, Emanuela, Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Claudio Traina. Per il primo attentato sono stati condannati all’ergastolo 16 mafiosi (oltre a molte altre condanne minori), tra mandanti e esecutori, nei processi Capaci uno e Capaci bis, Tra loro tutti i vertici di cosa nostra tranne Matteo Messina Denaro che verrà condannato all’ergastolo per entrambe le stragi solo nel 2020, in primo grado. Ben quattro i processi per via D’Amelio. Il primo nasce dalle false rivelazioni del mafioso Scarantino, un clamoroso depistaggio, con complicità istituzionali, che portò a condanne poi annullate. I successivi tre identificano mandanti ed esecutori, in gran parte gli stessi di Capaci, portando a 12 ergastoli e molte altre condanne.

Stragi del 1993

1) Bomba a Maurizio Costanzo

Il 14 maggio 1993 un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, al passaggio dell’auto di Maurizio Costanzo, ritenuto da cosa nostra responsabile di un informazione antimafia. Il giornalista e la compagna Maria De Filippi restano illesi. 24 i feriti.

2) Via dei Georgofili

Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 un’autobomba esplode a Firenze nei pressi del museo degli Uffizi. Muoiono cinque persone: i coniugi Fabrizio Nencioni e Angela Fiume con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (appena 50 giorni) e lo studente Dario Capolicchio, i feriti sono 40.

3) Via Palestro

La sera del 27 luglio 1993 esplode un’autobomba presso la Galleria d’arte Moderna e il Padiglione di arte contemporanea di Milano provocando la morte di 5 persone: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina.

4) Chiese di Roma

Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993 due autobomba esplodono davanti a San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma, e alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Complessivamente si contarono 22 feriti. Era la risposta di cosa nostra al forte intervento di Giovanni Paolo II ad Agrigento, quel “Convertitevi! Verrà un giorno il giudizio di Dio!”.

5) Stadio Olimpico

Il 23 gennaio 1994 un’autobomba doveva esplodere in viale dei Gladiatori a Roma, all'uscita dello stadio Olimpico, dove si trovava un presidio dei Carabinieri in servizio di ordine pubblico per la partita di calcio Roma-Udinese. L’esplosione non avvenne per un malfunzionamento del telecomando che avrebbe dovuto innescare l’ordigno. Ma resta in piedi anche l’ipotesi che sia arrivato l’ordine di sospendere l’azione.

Processi

Nel 1994 tutte le indagini sugli attentati passarono alla Procura di Firenze, condotte dal procuratore capo Pier Luigi Vigna e dai sostituti procuratori Francesco Fleury, Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi. Alla fine di vari processi la Cassazione ha confermato 19 ergastoli tra vertici e “soldati” di cosa nostra, come mandanti e esecutori, oltre a varie altre condanne. Sempre a Firenze resta in piedi l’inchiesta sulle “entità esterne” nel quale sono ancora indagati Berlusconi e Dell’Utri.

A parlare è Giuseppe Graviano, non collaboratore di giustizia, condannato per tutte le stragi e per l’omicidio di don Pino Puglisi, che ha raccontato di vari incontri con Berlusconi. Lo ha fatto nel corso del processo “ndrangheta stragista” dove poi è stato condannato all’ergastolo assieme a Rocco Santo Filippone, esponente della cosca ndranghetista dei Piromalli, per l’attentato che il 18 gennaio 1994 portò alla morte dei due carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Una sentenza che ha confermato l’adesione, almeno iniziale, della ‘ndrangheta al progetto stragista.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: