La marcia dei migranti verso gli Stati Uniti - REUTERS
Si sono radunati alla vigilia di Natale. Quasi dal nulla, uno dopo l’altro si sono riuniti a Tapachula, nell’estremo sud del Messico, sotto una grande croce, con la scritta «Cristo è risorto».
«La marcia della povertà», l’hanno chiamata. In diecimila, almeno. Una carovana di donne, uomini e bambini pronta a macinare chilometri al buio, lontano dalle luci delle città in festa, per evitare la calura del giorno. Sono cinquemila i chilometri che devono percorrere per arrivare alla meta finale: l’altra sponda del Rio Bravo.
Zaini in spalla. Calzoni arrotolati al ginocchio. Neonati avvolti in coperte di pile. Profughi delle varie guerre dimenticate, vecchie e nuove del Centro America. Ostaggio della povertà, causa ed effetto di quei conflitti. Gruppetti di amici, persone sole famiglie con bambini piccoli, giovani che si domandano: «Perché dobbiamo trascorrere il Natale in questo modo?». La notte prima della partenza l’hanno trascorsa in un parco di Tapachula, su giacigli allestiti su pezzi di plastica o cartone. Varie associazioni cattoliche e cristiane hanno portato loro bottiglie d’acqua, involtini di mais (tamales), coperte. Il tutto sotto lo sguardo indifferente della Guardia nazionale messicana che, a differenza del solito, non è intervenuta per disperderli.
Così, da ieri, hanno potuto lasciare il Chiapas e iniziare l’esodo verso nord.
Un viaggio durissimo. Non solo per la distanza. Buona parte dei territori che attraverseranno sono controllati dai cartelli del narcotraffico, per i quali i migranti sono una preda perfetta. Migliaia, ogni anno, sono catturati per essere arruolati o rivenduti sul mercato del sesso e degli organi. O per alimentare l’industria dei riscatti pagati dai parenti già residenti negli Usa. In caso contrario, tantissimi verranno semplicemente ammazzati. Anche per ridurre i rischi, i profughi hanno preso, negli ultimi anni, a viaggiare in carovane.
Quella di Natale è di certo la più grande da giugno 2022 quando una carovana da circa seimila persone lasciò Tapachula, nella regione di Chiapas messicano, alla volta del Nord. Oggi, come allora, però, l’emergenza va letta attraverso le lenti della politica. Gli addetti ai lavori sottolineano che la carica dei poveri del Centro e Sud America non sarebbe potuta partire dal Messico, che negli ultimi anni ha esercitato per conto di Washington il ruolo di gendarme, se quest’ultimo non l’avesse lasciata fare. Non a caso ha iniziato a formarsi subito dopo che il Texas ha approvato una legge che consente alle autorità di arrestare e spedire dall’altro lato del confine i migranti senza documenti.
Una misura molto contestata dal governo messicano che non è stato consultato. Il viaggio della carovana, inoltre, è cominciato alla vigilia di un summit chiave, in programma oggi, sulla gestione del fenomeno migratorio, giunto a un livello record: 10mila arrivi al giorno alla frontiera. Tra l’ultima settimana di novembre e la prima metà di dicembre, i fermi sono cresciuti del 31 per cento. Un terzo di questi – dato nuovo rispetto al passato recente – sono messicani, in fuga dalle crescenti violenze dei narcos. Funzionari messicani e statunitensi, dovranno discutere, in particolare, la decisione del titolare della Casa Bianca, Joe Biden, di chiudere tre importanti valichi ferroviari del Texas. Mossa, in parte già revocata, che secondo il presidente avrebbe dovuto frenare i richiedenti asilo ma che ha causato gravi disagi alle forniture messicane di grano.
Della delegazione americana in arrivo a Città del Messico fa parte il segretario di Stato, Antony Blinken. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador è determinato a chiedere a Washington di «affrontare le cause strutturali» della questione migranti sulla base dei risultati del vertice di Palenque di ottobre scorso. Summit che ha in un certo senso certificato l’origine del problema nelle sanzioni Usa a Paesi come il Venezuela. E le elezioni Usa sono alle porte, con la questione migranti tra le quattro più rilevanti per tutti i candidati.
Della delegazione americana in arrivo a Messico City fa parte il segretario di Stato, Antony Blinken. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador è determinato a chiedere a Washington di «“affrontare le cause strutturali» della questione migranti sulla base dei risultati del vertice di Palenque di ottobre scorso. Summit che ha in un certo senso certificato l’origine del problema nelle sanzioni Usa a Paesi come il Venezuela. E le elezioni Usa sono alle porte, con la questione migranti tra le quattro più rilevanti per tutti i candidati.