La premier Giorgia Meloni - Ansa
«Continuate a ragionare come se gli italiani e gli europei non dovessero votare...». Giorgia Meloni inizia a reagire con una certa insofferenza con chi le mette davanti piani A, B e C a seguito del voto europeo di giugno. Potrebbe esserci una maggioranza-Ursula bis in cui proprio Fdi e alcuni Conservatori potrebbero spostare, ma non di troppo, l’asse a destra, comunque aprendo a una coabitazione con socialisti e liberali. O potrebbe esserci una vera e propria maggioranza di centrodestra, con il Ppe costretto a far cadere i veti almeno su alcune delle forze “sovraniste”. Ogni tipo di considerazione va rinviata al minuto successivo all’eurovoto.
Il punto, però, è essere influenti. Non essere spettatori. Non stare a guardare gli altri che giocano la partita europea. Perciò la premier non solo è sempre più vicina a sciogliere positivamente il nodo della propria candidatura, ma sta meditando una virata elettorale a destra per provare a massimizzare il consenso. Una stacco, insomma, rispetto al volto “moderato” mostrato negli ultimi mesi verso l’Unione e cementato dall’asse con Ursula Von der Leyen.
Una necessità politica, a quanto si ragiona, anche perché l’Ue - ecco la novità - sta tornando a essere un problema per la premier. La prudenza sul Def nasce, ammette il ministro dell’Economia Giorgetti, da una sorta di accordo preventivo con Bruxelles. Che non è foriero di buone notizie per l’autunno. Indicare come “obiettivo” di politica economica solo la proroga del cuneo fiscale già in vigore (nemmeno data per scontata) e comunque condizionarla a tagli alla spesa pubblica, indica che i margini di trattativa con Bruxelles sui conti pubblici sono ridotti davvero ai minimi. Margini negoziali sono acquisibili solo se Fdi “peserà” sui futuri assetti comunitari. E per pesare ha bisogno di riprendere toni molto più “duri” sull’Ue. Un paradosso apparente: per ottenere spazi da quella che sarà la nuova governance europea bisogna tornare più vicini ai sovranisti e più distanti dai popolari.
Sono riflessioni di natura strategica in corso. Il Def “light” mette al riparo la posizione del Paese sui mercati, ma per evitare che l’Italia resti attanagliata ora dall’austerity bisogna alzare i toni. E potrebbe tornare in discussione anche la stessa sintonia con Von der Leyen, se considerata poco utile elettoralmente.
Un segnale potrebbe arrivare già oggi all’Europarlamento, con la pattuglia di Fdi che potrebbe votare contro alcune norme del nuovo Patto sulle migrazioni, anche facendo leva sul fatto che i relatori del provvedimento ci hanno tenuto a specificare che del Patto non fanno parte né l’accordo Italia-Albania, né i recenti accordi dell’Ue con Tunisia ed Egitto. Insomma, l’Europarlamento vuole togliere il timbro di Meloni dal nuovo testo e Fdi ha l’occasione per non sembrare schiacciata sugli “europeisti”.
Manovra di autunno, nuovo Patto di stabilità, migranti... Insomma, l’Unione potrebbe tornare a essere un nodo e non un’opportunità per la premier. Da Bruxelles, poi, nemmeno nascondono la voglia di mettere in difficoltà la premier. Ad esempio ritirando fuori, con fonti anonime, l’aspettativa che l’Italia ratifichi il Mes. Aggiungendo stavolta la minaccia di valutare «altre strade» nel caso la posizione italiana non cambiasse. Un Mes senza l’Italia? Una prospettiva sinora sempre smentita, ma che ora viene gettata nello stagno per vedere l’effetto che fa.
A Roma non si impressionano, ma una considerazione la si fa: se in autunno non ci sono soldi, e bisogna tagliare anche per prorogare il cuneo, come si dà ossigeno alla sanità in ginocchio? Il Mes da “stigma” potrebbe diventare l’ultima boa di salvataggio?
Domande senza risposte, al momento. Poca frenesia, invece, al momento, sul «no» di Bruxelles a una proroga del Pnrr dopo il 2026. Giorgetti ha messo in campo il tema per preparare il terreno. Ma tutti sono consapevoli del fatto che se ne potrà parlare seriamente solo a ridosso della scadenza.
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