venerdì 21 giugno 2024
I dati a sorpresa dell'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim): il 74% delle vittime supportate dalle istituzioni aveva permessi di soggiorno in linea con le norme
Lavoratori nei campi dell'Agro Pontino

Lavoratori nei campi dell'Agro Pontino - Fotogramma

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Gran parte degli immigrati vittime di caporalato sono regolarmente presenti in Italia. Non “clandestini” ma con permesso di soggiorno, eppure sfruttati da italianissimi imprenditori. Lo scrive l’Oim, la principale organizzazione intergovernativa nel campo della migrazione, collegata alle Nazioni Unite, in un rapporto pubblicato ai primi di maggio e finora inedito.

Il lavoro è frutto del Protocollo Quadro di partenariato tra l’Oim e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl) «per potenziare le attività di prevenzione e contrasto del fenomeno dello sfruttamento lavorativo, nonché promuovere la tutela dei diritti fondamentali delle vittime». Il protocollo prevede in particolare l’impiego di mediatori culturali Oim a supporto dell’attività di vigilanza dell’Ispettorato su tutto il territorio nazionale, per agevolare il rapporto coi lavoratori, convincendoli a collaborare superando paure e incomprensioni.

Da questa attività emergono gli aggiornatissimi dati raccolti nel rapporto. Tra maggio 2020 e aprile 2024, l’Oim ha supportato mille cittadini immigrati in condizione di sfruttamento lavorativo, 96% uomini e 4% donne. Numeri in crescita. Nel 2020 erano stati 85, un numero che ha risentito delle restrizioni imposte dalla pandemia. Nel 2021, con le attività ispettive a pieno regime, c’è stato un forte incremento con 290 lavoratori assistiti, numeri rimasti costanti nel 2022 e nel 2023, con 261 e 296 vittime tutelate.

Ad aprile 2024 le persone supportate sono state già 68. Il 71% (708) dei casi di sfruttamento sono emersi nel settore agricolo prevalentemente in Piemonte, Abruzzo e Puglia, seguito dalle industrie tessili (86) in Toscana e dalla ristorazione (48) in Campania e Puglia. Il 69% delle persone proviene dal continente africano, in particolare dal Marocco (223), Gambia (119) e Senegal (89). Il 30% dall’Asia, soprattutto pachistani (150), bengalesi (71) e indiani (54). Il restante 1% sono del Sud America e dei paesi europei extra-Ue (Macedonia, Ucraina).

E arriviamo al dato più interessante. Solo un quarto delle vittime supportate era sprovvisto di un titolo di soggiorno al momento del primo contatto con il mediatore Oim (26%, 257), mentre il 74% era regolarmente presente sul territorio (743). Di questi, il 22% aveva un permesso di soggiorno per richiesta di asilo (224), il 13% era titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato (126) e il 7% era titolare di protezione internazionale (69).

«Sebbene l’irregolarità dello status giuridico aggravi senza dubbio la condizione di vulnerabilità - si legge nel rapporto , questi dati suggeriscono che anche i titolari di permessi di soggiorno comunemente considerati “tutelanti” o “stabili” non siano esenti dal rischio di cadere in situazioni di sfruttamento lavorativo».

Come già emerso nel Rapporto presentato pochi giorni fa dalla Flai Cgil, lo sfruttamento non riguarda solo le regioni meridionali. Infatti il 40% dei casi (395) sono emersi al Nord (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna), il 35% (350) al Sud in particolare Calabria, Puglia e Campania e il 25% al Centro (255). Considerando le singole Regioni, il Piemonte distacca le altre Regioni per numero di casi emersi (239), seguita da Abruzzo (147) e Puglia (117).

«È importante sottolineare - spiega l’Oim - che il maggior o minor numero dei casi assistiti in una determinata Regione non è necessariamente indicativo di una maggiore o minore incidenza del fenomeno dello sfruttamento lavorativo in quel territorio». Ciò che incide positivamente nella decisione di emergere «è la capacità del sistema di rispondere tempestivamente alle esigenze di giustizia e di tutela di cui ha bisogno una vittima di sfruttamento lavorativo: regolarità giuridica, impiego dignitoso, accoglienza, accesso alle misure di rimedio».

In questo senso l’Oim svolge due principali attività di supporto: da un lato l’accompagnamento alla denuncia nei confronti del datore di lavoro/caporale; dall’altro, laddove esistano i presupposti e la volontà della vittima, si procede con un rinvio ai meccanismi di tutela previsti dall’ordinamento giuridico italiano per le vittime di sfruttamento lavorativo.

Sul totale dei assistiti, 896 persone (90%) hanno sporto denuncia contro il caporale/datore di lavoro con il supporto della mediazione linguistica specializzata dei mediatori culturali Oim. Nel 31% dei casi (315), la posizione del lavoratore poteva essere ricondotta nell’alveo dello sfruttamento lavorativo.

Pertanto sono state inviate alle competenti Procure le informazioni utili ai fini della formulazione da parte delle stesse Procure della proposta o del parere favorevole al rilascio del permesso di soggiorno, come previsto per i cittadini stranieri che abbiano presentato denuncia e cooperino nell’eventuale procedimento penale. Tali permessi sono stati rilasciati nel 45% dei casi (142), diniegati nel 3% dei casi (11), mentre il restante 51% (162) sono attualmente in fase di valutazione.

Inoltre, in 61 casi sono state inviate alle competenti Procure le informazioni utili ai fini della formulazione da parte delle stesse Procure della proposta ovvero del parere favorevole al rilascio del permesso di soggiorno ex art.18 Testo Unico Immigrazione per le vittime di grave sfruttamento lavorativo (34 rilasciati, 12 richiesti), in stretto coordinamento con gli enti antitratta.

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