«La cura ha fatto effetto e camminiamo verso la guarigione. Ma non siamo fuori pericolo: dobbiamo continuare con le terapie, consapevoli che la convalescenza è una fase delicata e il rischio di una ricaduta esiste sempre». Vittorio Grilli parla dell’Italia come di un malato che finalmente è riuscito ad alzarsi dal letto. E, sorridendo leggero, lo mette in guardia: «Certo non può pensare di andare a fare il bagno nell’acqua fredda...». Sfruttiamo quell’immagine per una prima, inevitabile domanda al ministro dell’Economia. Per capire quanto durerà la convalescenza, quanto sarà lunga la fase dei sacrifici e della sofferenza. Grilli usa la stessa metafora per spiegare che la meta è vicina: «Credo che la prossima estate sarà possibile fare il bagno. Magari vicino a riva, dove l’acqua è più tiepida e meno profonda». L’ufficio del ministro è al piano nobile del ministero del Tesoro. Grilli è vestito sportivo, al polso ha due sottili braccialetti colorati, dono dei suoi due bambini. Si parla di una crisi che ha sconvolto il mondo e si ragiona sull’attualità stringente legata al varo (discusso) della Legge di stabilità, nel giorno della manifestazione promossa dalla Cgil. Il ministro difende ancora la filosofia alla base del provvedimento: «Per me resta la migliore – ribadisce – ed è stata messa grande attenzione all’equità. Abbiamo postato un fondo di 900 milioni su cui con il Parlamento dovrà essere decisa la precisa destinazione. Noi suggeriamo che sia utilizzato in modo prevalente per finalità sociali. Vi è grande attenzione del governo per le fasce deboli, per le quali una novità sicura arriverà a fine anno con il nuovo Isee». Strumento che, peraltro, il ministro medita di estendere in futuro anche al campo fiscale. Grilli pensa proprio a quella fascia di popolazione che più ha pagato le misure di rigore. «Ha accettato sacrifici durissimi mantenendo la testa lucida. Bisogna dire solo una parola: grazie». Una pausa leggera precede un nuovo attestato di stima all’Italia. «C’è un Paese che soffre, ma è lo stesso Paese che capisce; che dimostra maturità, consapevolezza, anche unità: quello che si è fatto è il frutto di un impegno collettivo», ripete Grilli che detta un ultimo messaggio: «L’Italia sa, anche per la sua tradizione cattolica, che per raggiungere un obiettivo si passa da momenti di sofferenza. Ora quella sofferenza va ripagata». Il telefono cellulare del ministro squilla. Lui si allontana una manciata di minuti e quando torna a sedersi alla grande scrivania rettangolare vuole scusarsi: «Solo tre telefonate fanno passare il resto in secondo piano: quelle del capo dello Stato, del presidente del Consiglio e di mia figlia di tre anni». E su quella confidenza partono le domande.
Ministro, la preoccupa il fatto che anche settori della maggioranza stiano mettendo in discussione l’agenda Monti? A volte si fatica a comprendere e accettare che non sarà mai più come prima. In linea di massima sono meno preoccupato di qualche mese fa, perché ormai l’Italia ha davanti a sé un percorso già tracciato. C’è un’agenda europea da cui derivano scelte che non potranno essere cancellate. Insomma, non c’è spazio per controriforme e nemmeno per chi dice
«ora che i mercati sono a posto, si può fare marcia indietro
». No, non si può fare. La strada presa è giusta, i mercati ci stanno ridando credito, ma guai a dare l’impressione che l’Italia e l’Europa possano pensare di cambiare direzione. Cambierebbero immediatamente direzione anche loro, e con velocità impressionante.
Lo spread è passato da 550 a 317. Dove dovrebbe arrivare? L’obiettivo è ricondurlo almeno ai livelli del maggio 2011 (quando era intorno a 180 punti,
ndr), prima della crisi dei debiti sovrani. Ma io non guardo solo allo
spread, guardo anche al livello assoluto dei tassi: oggi abbiamo interessi a 10 anni sotto il 5 per cento, quindi decisamente tollerabili.
Il processo dell’Unione bancaria deciso in sede Ue può favorire un ulteriore calo? Sicuramente sì. Parte delle debolezze europee è vista nella fragilità di spezzoni del settore bancario. Se sarà rimossa questa causa, i mercati non potranno non tenerne conto. Ma ancora una volta voglio essere chiaro: anche tra febbraio e marzo stavamo recuperando... I mercati apprezzano rigore e sacrifici, ma ci chiedono di non mollare.
Torniamo alla politica interna. Teme la fase turbolenta della campagna elettorale e le incertezze sul dopo voto? Le campagne elettorali sono democrazia, ma le scelte e le parole devono tenere conto dell’attuale quadro globale. Siamo sotto osservazione. L’Europa è sotto osservazione, e noi nell’Europa. Tutti devono capirlo. Tutti devono rendersi conto che quello che facciamo e diciamo è visto, ascoltato, pesato, valutato dal mondo. Le nostre scelte e parole vengono prese sempre sul serio e chi ha posizioni di responsabilità deve esserne cosciente e capire che le elezioni sono fondamentali, ma il futuro del Paese dipende anche da come siamo visti.
Molti anche all’estero chiedono a Monti di continuare.Siamo al servizio del Paese fino all’ultimo giorno della legislatura. Poi si tornerà alle urne e qualsiasi decisione potrà essere presa solo tenendo conto del risultato elettorale. Ma insisto: c’è stato un profondo cambio di rotta e da lì non si torna indietro. Il percorso è tracciato e ci sono impegni presi da ogni singolo Paese europeo. E invece spesso il dibattito nei partiti sembra non tenerne conto. A volte si ragiona come se fossimo ancora un Paese isolato, come se l’Europa non esistesse, come se l’economia fosse soltanto una questione interna. Non è così: le scelte prese sono scelte che vincolano e che vanno rispettate.
La Grecia è in ginocchio: lì c’è rabbia, divisioni, scioperi. Qui si rischia? Qui è un’altra situazione. L’Italia ha superato la fase acuta, ma serve ancora unità, ancora scelte condivise, ancora coesione. Perché se dovesse venire meno - e non credo che questo possa succedere - a soffrire sarebbero ancora i più deboli: resterebbero drammaticamente abbandonati a se stessi.
Non c’è quasi un’ossessione nel guardare sempre ai mercati? Bisogna comprendere che i mercati, in fondo, non sono delle entità esterne, avulse da tutto. In fondo sono semplicemente le scelte di noi risparmiatori che decidiamo dove collocare i nostri risparmi. Per questo la nostra priorità assoluta, quando siamo arrivati al governo, era di assicurare i mercati e per farlo dovevamo stabilizzare le finanze pubbliche, anche a costo di misure pesanti. Ma i risultati ci sono.
Ne ha avuto riscontro anche ai recenti lavori del Fmi a Tokyo? Sì, c’è ora una diversa considerazione per l’Italia. D’altronde si è tenuto conto che anche in Paesi-simbolo come la Cina e il Brasile c’è stato un rallentamento, ma che ora la fase più negativa sembra essere superata. E si è molto discusso del fatto che, con la crisi dei settori pubblici, sta andando in difficoltà anche tutta quell’economia privata che era abituata a dipendere troppo dalla pubblica amministrazione.
E se dovesse mandare un tweet all’italiano medio, cosa gli direbbe?Che noi italiani viaggiamo molto, abbiamo gli occhi aperti, ma non riflettiamo su quello che vediamo. Cioè che fotografiamo le differenze degli altri popoli, ma poi stentiamo a fare tesoro di queste osservazioni. Ora è il momento di ragionare, assieme al ministro, su tutti i no piovuti sulla Legge di stabilità e, in particolare, sulle novità fiscali. Grilli sorride ancora una volta: «Il titolare dell’Economia è un po’ come una roccia, deve essere abituato alle critiche. Fa un po’ parte del suo lavoro. Lo schema vuole che sia quasi privo di umanità, ma così non è».
Non erano facilmente prevedibili queste critiche?Siamo stati molto attenti nel pesare i nostri interventi. E l’abbiamo fatto con una filosofia che continuo a ritenere la migliore. Abbiamo lavorato su tre assi: la riduzione dell’Iva - però non di 2 punti, ma di uno solo - , la riduzione Irpef per le prime due fasce di reddito e un intervento per detassare i salari legati alla produttività. Di questo impianto si potrà ora discutere in Parlamento. Finora ho sentito dei desideri, aspetto gli emendamenti. Ma sull’equità ho sentito critiche senza nessuna logica, mai sentite prima.
Quali, a esempio? Lo stesso parlare di retroattività è inappropriato. Senza esserne sempre consapevoli, quando paghiamo le imposte lo facciamo con riferimento a più anni. Nel 2013, a esempio, si paga anche il saldo del 2012 e l’acconto del 2014. Per questo abbiamo ritenuto che si potesse agire come abbiamo fatto. Se il Parlamento vuole spostare ora sui redditi 2013 la manovra sugli sconti fiscali lo può fare, ma dobbiamo sapere che ciò avrà un costo di circa un miliardo. Se guardiamo le cifre non si può negare però, come qualcuno ha fatto, che la riduzione fiscale ci sia, e sia importante. Nel 2013 lo Stato darà agli italiani un contributo netto di 6,7 miliardi: vale a dire 8,7 miliardi di minori introiti - 4,2 per l’Irpef, 3,3 di diminuzione dell’aumento Iva e 1,2 sui salari - meno un paio di miliardi di minori detrazioni.
Non rivedrebbe qualcosa? Siamo stati attenti alla sua equità. Sulle invalidità a esempio abbiamo fatto una riflessione, poi abbiamo convenuto che non è questo il momento per toccarle, pur essendo coscienti che non tutto va per il meglio in questo campo. Abbiamo toccato le
tax expenditures (appunto gli sconti fiscali,
ndr), dove ci sono norme che si sono stratificate lungo oltre 50 anni. Anche qui, però, abbiamo dapprima introdotto una fascia di salvaguardia fino a 15mila euro, poi tutelato le spese più sociali, come quelle mediche - che non rientrano nel tetto complessivo dei 3mila euro - e quelle per le spese necessarie per le persone in stato di bisogno, incluse le badanti. Fatte queste premesse, non mi sembra assurdo il tetto dei 3mila euro perché per arrivarci devi anche avere un reddito non indifferente.
Nello specifico, a quali modifiche è più favorevole? Per il Tesoro la parte imprescindibile è garantire i saldi invariati. Perché nel 2013 non si può non raggiungere il pareggio di bilancio. Noi volevamo migliorare solo la qualità della strada per arrivare al pareggio, se il Parlamento vuol calibrare diversamente le singole voci va bene. Nel ddl peraltro, come detto prima, c’è anche a disposizione un fondo da 900 milioni che abbiamo pensato per fini sociali, dalla carta acquisti a misure per i giovani e per la ricostruzione de L’Aquila. Sarà il Parlamento a decidere la destinazione.
Tutti, però, si attendevano ormai il mancato aumento dell’Iva. A parte che era stato deciso dal governo precedente, va detto che il fisco che abbiamo in mente è quello in cui sono ridotte le imposte dirette e tenute relativamente alte le imposte indirette, che è poi l’indirizzo consigliato anche a livello internazionale da Ocse e Fmi. Se si riduce l’Iva, chi ne beneficia di più? chi va al mercato o chi si compra l’auto di lusso? Dell’Iva ridotta beneficia di più chi spende di più.
Questa manovra ha riproposto ancora una volta il nodo degli incapienti, quanti guadagnano così poco da non beneficiare delle nuove norme fiscali. Non si riuscirà mai ad affrontarlo? La soluzione non può passare attraverso il fisco, che in questi campi è un’arma spuntata. Per gli interventi sociali bisogna rivedere le modalità e pensare a politiche attive con un loro bilancio, che poggino su strumenti più precisi.
A quali strumenti pensa? Noi abbiamo già valorizzato la carta acquisti, riconoscendo che ci sono altrimenti cittadini non intercettati dal radar dell’azione pubblica, e tirato fuori dal frigo l’Isee (l’Indicatore di situazione economica equivalente, ndr ). Entro fine anno avremo il nuovo indicatore, che il ministero del Welfare potrà usare per le sue azioni di spesa. Ma la mia idea è di passare all’Isee, che è più preciso nel fotografare la situazione di una famiglia rispetto alle fasce di reddito, anche per definire le soglie di detrazioni e deduzioni, una sorta di 'Iseef' ai fini fiscali. Per farlo ci vuole però un suo ulteriore affinamento e la facoltà di verifiche quasi in automatico, per evitare che ci siano abusi. Ma è una discussione che va fatta.
Molte proteste ha sollevato anche la decisione di ritoccare dal 4 al 10 per cento (per ora) l’Iva per il non profit. Ci risulta che da Bruxelles sia giunta solo una richiesta di chiarimenti. Non è così. Sull’Iva per il sociale ci sono pochi margini. Le risposte che abbiamo già consegnato all’Ue non bastano a evitare una procedura d’infrazione. Contro le quali, peraltro, il ministro Moavero sta conducendo un’azione meritoria. Anche perché non possiamo permetterci ulteriori sanzioni che aggraverebbero il bilancio pubblico.
In ogni occasione lei ha ribadito il no alla patrimoniale. Non sarebbe una misura da adottare, invece, per una maggiore equità? Ormai le parole vengono usate come etichette o come macigni. Io sono invece per levare di torno gli slogan. Abbiamo riconosciuto all’inizio del nostro mandato che c’era un’asimmetria nella tassazione italiana, accentrata sul reddito e sguarnita sul fronte del patrimonio. Per questo abbiamo messo l’Imu sugli immobili e rafforzato l’imposta di bollo sugli strumenti finanziari, introducendo uno schema di fondo che amplia la base imponibile. Su questo schema, se qualcuno vorrà aumentare poi le aliquote, sarà libero di farlo.
Il ddl stabilità contiene anche la novità dell’anticipo della Tobin tax. Non sarà, alla fine, una tassa in più per il piccolo investitore? Chiariamo: l’investitore di lungo periodo, il classico "cassettista", noi lo vogliamo incentivare. Non ha nulla da temere dal
Financial transaction act (la Tobin tax, ndr ). La tassa colpirà solo ogni volta che si compra e si vende, quindi chi lo fa molto frequentemente, soprattutto gli speculatori. E questo era anche l’intendimento di James Tobin, al cui fianco ho lavorato a Yale. Chi sta facendo una campagna preventiva contro, vuole mettere paura, forse per difendere altri interessi, ma troverà una strada in salita. Tanto più che questa è ormai una decisione presa anche in sede Ue.
Anche l’ex premier Berlusconi è tornato di recente a parlare di politica economica, invitando a non seguire solo la linea del rigore. È un parere condivisibile? Lo è, ma va inserito nel contesto dei "paletti" fissati dalla Ue. Il presidente Monti fin dall’inizio ha insistito in Europa per una
golden rule dal significato preciso: sì a finanziare in deficit le infrastrutture, massima rigidità invece sulla spesa corrente. Nella Ue è stata usata finora un’accezione un po’ troppo tedesca, per così dire. Ma noi non molliamo, perché vogliamo di più: più libertà sui progetti nazionali d’investimento. E riproporremo il tema a ogni vertice europeo.
Ci sarà un Ecofin straordinario a fine mese? Potrebbe esserci. D’altronde non sarebbe nemmeno così straordinario, viste le emergenze che ci sono in Europa.
Altre critiche ha sollevato il possibile ritorno del Tesoro nel settore creditizio, con gli aiuti al Monte dei Paschi di Siena. Sono opportuni in questa fase di sacrifici per gli italiani? Noi non abbiamo assolutamente una politica di ritorno del Tesoro nel settore creditizio. Noi abbiamo soltanto messo a disposizione strumenti per rafforzare il patrimonio, come l’Europa ci chiede attraverso l’Eba. Sono prestiti dati in via temporanea, che Mps dovrà rimborsare. Ma non c’è nulla di "specifico italiano" in questa soluzione. Stiamo solo seguendo l’agenda europea.
È rimasto sorpreso dai livelli di corruzione e di spreco nel pubblico portati alla luce dalle ultime vicende? Anch’io mi sorprendo sempre degli episodi di corruzione. Mi stupisco di persone che dicono d’impegnarsi per il bene pubblico e seguono poi illegittimamente interessi privati. Il discorso è diverso per gli sprechi, perché ovunque nel mondo le pubbliche amministrazioni non sempre sono state disegnate avendo come obiettivo l’ottimizzazione dei costi. L’aspetto più grave da noi è la mancanza d’informazioni messe in comune dalle singole amministrazioni. Sono tutti mondi che non comunicano. È un fenomeno a me chiaro sin dal 1994, quando entrai al Tesoro, ma che nessun governo è mai riuscito a cambiare. Io penso che in un anno si possono uniformare i criteri di contabilizzazione, che è la pre-condizione per fare bene le cose e far dimagrire un apparato statale arrivato a costare il 50 per cento del reddito nazionale annuo. Decisamente troppo.
Patto di produttività: preoccupa una mancata intesa? Penso che tutti gli italiani debbono essere convinti che abbiamo un problema serio di competitività. Sappiamo che il "sistema-Italia" non agevola le aziende e ci stiamo impegnando per invertire la rotta con le riforme strutturali che abbiamo già introdotto. L’altra parte del problema, però, è tutta interna alle imprese. Qui serve una presa di coscienza delle parti sociali. Monti ha voluto un tavolo proprio per creare questa consapevolezza. Di più: i risultati della sperimentazione condotta in passato hanno mostrato che non è stata efficace per migliorare la produttività, sono serviti solo a ridurre in parte il cuneo fiscale. Come governo, noi siamo desiderosi che un accordo sia raggiunto. E ottimisti che le parti ce la faranno. Se invece non ci sarà alcuna intesa, sono convinto che governo e Parlamento avranno solo l’imbarazzo della scelta su come destinare il miliardo e 600 milioni che abbiamo destinato per questo capitolo. L’intervista è finita. Grilli beve il primo bicchiere di minerale e pesca nella memoria le tappe della sua vita. Gli studi negli Stati Uniti, l’insegnamento nell’università di Yale prima e di Londra dopo. Ma anche gli anni dell’adolescenza a Milano. Le medie dai salesiani, il liceo al Gonzaga, poi la Bocconi. «La scuola cattolica mi ha lasciato ricordi importanti e ora anche la mia bambina va all’asilo dalle suore», confida. Poi, sulla porta dell’ufficio, accetta di riflettere anche sui casi Finmeccanica e Ponzellini. Ministro, prova disagio a parlarne? «Sì, provo disagio perché è complicato parlare di cose false. Sono palesi non verità. E questo è dimostrato anche dall’audit interno di Finmeccanica: non ci sono state consulenze assegnate alla mia ex moglie». Il ministro si alza, poi ripete le ultime parole: «Una palese falsità. Mi ricorda l’aria rossiniana della calunnia. Speravo che da Rossini a oggi in Italia i tempi fossero cambiati ma - ahimè - non è così».