«Un tavolo tra i partiti per fare una verifica sulle leggi sull’immigrazione». Dalla Bossi-Fini al reato di ingresso clandestino, fino alla cittadinanza. Lo propone il ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge che spiega: «L’immigrazione e l’integrazione sono due problemi centrali ineludibili per il futuro del nostro Paese. Credo sia normale dopo un certo periodo di anni verificare se le leggi siano ancora rispondenti alla situazione nazionale e internazionale o abbiano bisogno di aggiustamenti o cambiamenti. Nessuna legge è eterna. L’importante sarebbe affrontare la questione con pragmatismo, sotto l’ottica dell’interesse nazionale e non con le lenti dell’ideologia».
Lei si è espressa in passato contro il reato di clandestinità…Io credo che in Italia sia stata fatta una grande confusione, soprattutto a livello culturale. L’equazione immigrazione uguale criminalità non ha consentito di guardare al problema con occhi sereni. Bisogna distinguere tra persona e persona. La criminalità non è questione di pelle. Quando si affrontano i temi dell’immigrazione scatta subito un riflesso condizionato: e la sicurezza? La sicurezza è un bene primario per i cittadini che lo Stato deve salvaguardare sempre. Si tratti di stranieri o di criminalità organizzata italiana. Piuttosto, troppo poco si è parlato dei benefici che l’Italia riceve dal fatto che cittadini d’origine straniera lavorino, paghino le tasse, creino sviluppo e consumino sul nostro territorio. Per questo dico che è necessario un confronto sereno con le forze politiche.
I leghisti intanto raccolgono le firme per proporre l’abolizione del ministero dell’Integrazione, considerato inutile se non dannoso. Non commento i comportamenti politici di movimenti o partiti. Ognuno è libero di fare quello che vuole, prendendosene ovviamente le responsabilità. Mi limito a far notare che l’Unione Europea ha in programma per novembre un grande vertice dedicato all’integrazione. Segno che considera il tema decisivo. Posso dire che, in attesa di sapere se ci sarà o meno quel referendum, a quell’appuntamento il governo italiano non si farà trovare impreparato.
L’Europa però non sembra particolarmente sensibile all’ondata di profughi che sta sbarcando sulle coste italiane.C’è un grosso lavoro da fare in questa direzione. Le politiche di accoglienza e di solidarietà devono spettare sia all’Unione Europea che ai singoli Stati, specie in presenza di gravi avvenimenti politici che stanno interessando tutta la sponda sud del Mediterraneo. Le migrazioni sono un fatto naturale nella storia umana. Gli esodi, invece, sono provocati da guerre, carestie, rivolte e rivoluzioni. E allora bisogna affrontare il problema sia dal punto di vista dei diritti umani che da quello della capacità di sviluppare politiche europee e nazionali in grado di aiutare governi e popolazioni a trovare la strada della stabilità, dello sviluppo e della democrazia. Questo governo non perde occasione per ricordare ai partner europei la delicatezza e l’importanza della questione.
Ministro, domani inizia il campionato di calcio. E alcune curve rimarranno chiuse a causa di cori razzisti contro giocatori di squadre avversarie. È d’accordo?È una decisione autonoma della Figc che apprezzo particolarmente. Serviva un segnale chiaro ed è importante che sia venuto dal mondo del calcio. Certo, da solo non basta. Bisogna partire contestualmente con una campagna di sensibilizzazione tra i giovani, nelle scuole, negli ambienti ricreativi.
Qualche tifoso sostiene che con questo provvedimento potranno esserci infiltrati nelle curve al solo scopo di provocare la chiusura del settore della tifoseria avversaria.Io credo che serviva una responsabilizzazione dei club, degli operatori del calcio e degli stessi tifosi. Penso anche che le forze dell’ordine, i responsabili degli stadi e i dirigenti delle squadre abbiano gli strumenti per individuare e isolare violenti, facinorosi e provocatori.
Lei è in Italia ormai da trent’anni. Ha vissuto l’esperienza di medico negli ospedali italiani e ora quella di ministro. Dove ha trovato più problemi o difficoltà dal punto di vista del razzismo e dell’integrazione?Da ministro c’è ovviamente una maggiore visibilità. La gente si accorge che anche una persona che viene da un Paese lontano ma che ha scelto di vivere in Italia può assurgere a ruoli di primo piano. È un fatto culturalmente importante, insulti razzisti a parte. Mi capitava la stessa cosa come medico, in scala ridotta. Mi chiedevano spesso, vedendomi in camice, se fossi un’infermiera. Oppure, appurato finalmente che ero medico, se fossi americana. Perché suona ancora difficile che una persona che viene dall’Africa, dall’Asia o da altre zone in via di sviluppo possa svolgere un’attività professionale e non un mestiere umile.
Da questo punto di vista lei ritiene che l’Italia sia indietro rispetto ad altri Paesi europei?In Italia il fenomeno della presenza di lavoratori stranieri è molto più recente rispetto a quella di altri Paesi come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, il Belgio o l’Olanda. E dunque abbiamo cominciato a ragionare sull’integrazione molti anni dopo. Non è necessariamente una sfortuna: possiamo fare tesoro dell’esperienza e degli errori degli altri, tenendo anche conto che l’Italia non ha avuto un passato coloniale "pesante" come quello di altri Stati.
Domani incontrerà la Chiesa Valdese. Che importanza attribuisce alle religioni nel favorire l’integrazione?Tra le mie competenze ministeriali rientra anche il dialogo interreligioso. Credo che le religioni siano un importantissimo strumento di integrazione tra le comunità straniere e il territorio, anche per l’attenzione che le Chiese pongono da sempre ai temi dell’accoglienza e della solidarietà. Pensiamo al ruolo del pastore Martin Luther King, del cui celebre discorso ricorrevano proprio ieri i 50 anni, nell’integrazione dei neri d’America. O, più recentemente, alla visita di papa Francesco a Lampedusa. Quello di Francesco è stato un gesto religioso, ma che parla a tutta la comunità internazionale, ai credenti e ai non credenti.Siamo ormai alla terza generazione di immigrati che vivono nel nostro Paese. E si fa troppo poco per loro.È quello che cerco di far capire nei miei continui viaggi attraverso l’Italia. Ci sono figli di immigrati che sono nati in Italia o che sono venuti qui piccolissimi. Frequentano le stesse scuole dei nostri figli, parlano italiano, lavorano in Italia. Io credo che questi ragazzi abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri dei ragazzi italiani. Per questi ragazzi ho parlato di
ius soli temperato.
Ci sono state molte critiche di settori del centrodestra…Sono pronta a discutere nel merito. Io capisco che una coppia di stranieri che decida di venire in Italia abbia bisogno di un percorso di integrazione. Ma questi bambini sono già perfettamente integrati, a partire dalla scuola. Che altro percorso vogliamo far loro compiere?