Enrico Letta, primo premier scelto da Napolitano nel 2013, all’inizio del suo secondo mandato, associa il nome di Giorgio Napolitano a un termine preciso: «L’Europa».
Qual è il suo primo ricordo del presidente scomparso?
I suoi anni da presidente della Camera. Quando Beniamino Andreatta nel 1993 divenne ministro degli Esteri del governo Ciampi, fra loro due s’instaurò un legame fortissimo nel nome della comune passione europea. Si stimavano molto e Napolitano frequentò il centro studi Arel: lì lo conobbi. Da allora abbiamo lavorato molto insieme, sempre con grande sintonia.
Quali ricordi prevalgono in queste ore?
Tantissimi. In particolare la sua sofferenza nel 2011, l’anno della grande crisi europea e italiana: soffriva soprattutto per il fatto di vedere l’Italia in difficoltà proprio nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. In quell’anno lavorò tantissimo per creare le basi di quelle larghe intese che poi sbocciarono. Era una sofferenza legata al fatto che sentiva di portare un grosso peso sulle spalle. Ed è la stessa che ho percepito in lui quando accettò, controvoglia, la sua rielezione nel 2013. La accettò pur sapendo che sarebbe stata una fatica, solo per il forte senso delle istituzioni che aveva.
Quel 2011 gli causò anche le accuse del centrodestra per il passaggio dal governo Berlusconi a quello Monti.
Fu incredibilmente forte nell’andare avanti. Di fatto salvò l’Italia, poi una parte politica la racconta in modo diverso, ma sono critiche totalmente ingiuste. Le premesse di questo suo sforzo furono nello straordinario discorso che tenne al Meeting di Rimini nell’agosto 2011, dove lanciò un appello di pacificazione nazionale e di esaltazione dell’impegno civile di tutti.
Lei cattolico, lui comunista: come maturò questa vostra armonia fra culture diverse?
Perché aveva un grande rispetto delle posizioni personali e un approccio liberale alla società. Amava la sua Napoli ed era molto curioso verso tutta la cultura europea. Indicativa fu la sua amicizia con Benedetto XVI, esaltata anche dalle sintonie culturali. E ricordo la sua attenzione alla solidarietà: mi diede copertura totale e fu completamente parte di quella fase storica di cui celebriamo i 10 anni che va dalla visita di papa Francesco a Lampedusa al naufragio del 3 ottobre 2013 che portò alla missione Mare Nostrum, perché non poteva accettare che il Mediterraneo si trasformasse in un cimitero dei migranti, come è tuttora.
E il suo rapporto con gli Stati Uniti?
Fu sempre solido. Ha dell’incredibile la sintonia fortissima che ebbe con Barack Obama, il rapporto molto intenso fra lui, uomo degli anni Venti, e il giovane presidente Usa di colore nato negli anni Sessanta. Quando io da premier incontrai la prima volta Obama, rimasi sorpreso quando mi disse: «Io sono un tuo grande supporter per proprietà transitiva, perché so che sei stato scelto da Napolitano».
Da dove nasceva questo feeling fra di loro?
Oltre alla simpatia personale, perché Napolitano era anche spiritoso, dal fatto che Obama pensava che nella crisi europea l’Italia, in quegli anni di transizione, poteva giocare un ruolo solo appoggiandosi a una figura come Napolitano.
Come furono quegli anni a Palazzo Chigi con lui al Colle?
Ogni momento di quei 10 mesi è stato per me una scuola straordinaria, che del resto si era già cementata nei 2 anni da sottosegretario alla Presidenza nel governo Prodi. Napolitano aveva una grande modernità, lui che già era quasi 90enne era convinto della necessità di ammodernamento del Paese, voleva supportare una nuova classe dirigente con l’innesto di più giovani in politica. E puntava molto anche sul maggior ruolo delle donne, come dimostrò anche nelle nomine che fece, a esempio dei giudici costituzionali.
La fine del suo governo incrinò il vostro rapporto?
No. In quei giorni ci fu un chiarissimo cambio della scena politica e lui ne prese atto, il resto ha poca importanza oggi. Napolitano sperava fortemente che la sua permanenza al Colle coincidesse con una stagione di riforme del sistema, ma poi tutto venne giù e si tornò come prima, alla logica della contrapposizione.
E di questi ultimi anni quali ricordi ha?
Abbiamo continuato a sentirci, è rimasto un punto di riferimento. Per di più col compito di fare da messaggero fra due “ragazzi del ‘25”, lui e Jacques Delors (ex presidente della Commissione Ue, ndr). Portavo loro i rispettivi saluti. Un ulteriore onore per me.
L'ex premier: «Obama mi disse: ti ha scelto? Tifo per te. Legati dalla comune passione europea, mi diede copertura piena su Mare nostrum. Nel 2011 salvò l'Italia. io messaggero fra lui e Delors»
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