Il rimpallo di accuse per la responsabilità dell’aumento dell’Iva tra Berlusconi e Letta e la durezza dei toni utilizzati fanno già capire una cosa: comunque vada a finire con il voto di fiducia, qualunque governo possa prendere il posto di quello attuale, da oggi in poi sarà campagna elettorale. Permanente e di inusitata durezza. La brevissima stagione delle larghe intese è naufragata miseramente e con essa la speranza ormai trentennale – la Bicamerale Bozzi è giusto del 1983 – di dare al Paese un ordinamento istituzionale più funzionale e moderno. Con buona pace di saggi, commissioni e comitati vari. Bisogna aspettare qualche giorno ancora per capire se il Parlamento, in un sussulto di responsabilità, risparmierà al Paese nuove elezioni con il famigerato Porcellum, oppure se gli italiani dovranno rassegnarsi ancora a delegare alle segreterie dei partiti la scelta dei loro rappresentanti. Da un punto di vista tattico la mossa a sorpresa di Berlusconi di aprire la crisi si spiega chiaramente con l’intenzione del Cavaliere di condurre la sua battaglia sul campo che gli viene più congeniale, quello della lotta alla "dittatura fiscale". Più difficile sarebbe stato, per lui, nonostante la potenza di fuoco mediatico di cui dispone, invitare gli elettori alla mobilitazione sulla base delle sue vicissitudini giudiziarie, sia pure ammantandole da battaglia di libertà e di diritto. In realtà la sua nuova chiamata alle armi contro la magistratura rossa, contenuta nel video messaggio della settimana scorsa e ribadita nel discorso ai gruppi parlamentari, se ha galvanizzato i militanti non ha prodotto grande entusiasmo nell’elettorato moderato che, in una fase di pesante crisi, sembra essere più interessati ai temi dell’occupazione, del fisco e dell’economia. Le ipotesi sul futuro sono molte e dipendono da troppe variabili: ci potrebbero essere un nuovo governo Letta con maggioranza mutata, un governo istituzionale per cambiare la legge elettorale, le elezioni anticipate a febbraio. Sullo sfondo, persino, le possibili dimissioni di Giorgio Napolitano che, come si ricorderà, aveva subordinato la sofferta accettazione della sua rielezione alla continuità della legislatura e a un clima di dialogo tra le forze politiche. Lo scontro che si è aperto dopo una tregua apparente durata neanche un anno è (e sarà) di tale violenza che rischierà di compromettere i risultati ottenuti dal governo Monti e dal governo Letta con il sacrificio degli italiani. E, anche, di far precipitare l’Italia – che aveva riacquistato credito a livello internazionale – nuovamente nel cliché del Paese instabile e ingovernabile. Sembra quasi che i nodi che ci trascinavamo dalla nascita della Seconda Repubblica – una sorta di maledizione italiana – siano venuti al pettine tutti insieme. Ma, allo stato, non si capisce se e chi sarà in condizione, nell’immediato futuro, di tentare di scioglierli.