Poniamo che il nuovo esecutivo abbia a disposizione solo sei mesi: non sarebbero sufficienti per affrontare alcuni problemi strutturali del Paese, ma sarebbero senz’altro utili (più utili di una cattiva campagna elettorale) per dare un po’ di ossigeno all’Italia che arranca. Lo ha fatto intendere ieri Giorgio Napolitano: mettere su un governo è una risposta quasi "di dignità" a fronte di problemi che «non possono aspettare», problemi che «si ripercuotono drammaticamente nella vita quotidiana della gente».Cosa si potrebbe fare in un arco ristretto di tempo? Innanzitutto, riprendere il bandolo della matassa per cancellare il Porcellum. Due le stelle polari che i partiti avevano condiviso prima di correre furiosamente alle urne: restituire ai cittadini il diritto di scelta dei propri parlamentari; garantire al Paese un governo non solo numericamente solido, ma anche coerente dal punto di vista programmatico. Tra bipolarismo spinto e proporzionalismo puro erano state avanzate diverse soluzioni di compromesso. Si possono riprendere. Specie alla luce dello stallo prodotto dal Porcellum. A fianco alla questione istituzionale c’è poi quella sociale. Due le priorità inderogabili: mettere al riparo altre migliaia di esodati - e ieri il governo uscente, con il ministro Fornero, ha aggiunto un’altra tessera al complesso mosaico (vedi a fondo pagina) - e integrare i fondi per la cassa integrazione.Ma si può andare oltre. Senza sfogliare libri dei sogni, è possibile disegnare un programma minimo di governo. Berlusconi, Bersani, Grillo e Monti si sono trovati d’accordo, in campagna elettorale, su diversi punti. Sulla necessità, ad esempio, di agire in Europa per allargare le maglie del rigore. E poi sulla rimodulazione (con un occhio ai carichi familiari) di Imu e Tares, sulla drastica riduzione dei costi della politica, sul conflitto d’interesse, su una forte misura fiscale che agevoli l’occupazione giovanile. E tutti hanno promesso di trovare le coperture non con nuove tasse, ma agendo sulla spesa pubblica. Dunque, una base di partenza che metta insieme un po’ di teste e di cuori c’è. Basta volerlo.
Discutere una nuova strategia. E rilanciare gli EurobondLa linea del rigore, necessaria in un continente che si era abituato a "campare" sui debiti, si trasforma in rigorismo recessivo se fine a se stessa. A dimostrarlo, ecco gli ultimi numeri italiani (col Pil crollato del 2,4% nel 2012) ed europei (Draghi ha appena rivisto al ribasso le stime Bce per il 2013). Al riguardo, c’è una consapevolezza accresciuta ormai in Europa, anche nella stessa Germania, vedasi la recente presa di posizione del Bundesrat sul Fiscal compact. Senza tornare alla stagione della "troppa tolleranza" sulla tenuta dei parametri contabili (e confermando l’obiettivo del pareggio di bilancio, anticipato dalla sola Italia al 2013 almeno in termini strutturali, cioè "depurato" degli effetti della crisi), ecco che occorre rafforzare le alleanze con quei Paesi interessati a ridiscutere la strategia europea. Per impostarne una nuova, basata sul rafforzamento degli aspetti di solidarietà come contropartita dei vincoli europei da rispettare. Premessa per arrivare all’emissione di debito comune fra i Paesi della zona euro, aprendo di fatto la porta agli Eurobond. Allo stesso modo, se si vuol dare una prospettiva all’euro, va rilanciata la costruzione del nuovo "governo" dell’eurozona. Magari con un passo simbolico - di forte presa sui cittadini - che potrebbe essere l’elezione diretta di un presidente della Ue.
Norme «contra personam»? No, la strada è il blind trustSono venti anni che l’Italia si arrovella sul conflitto tra interessi politici ed interessi economici. Si tratta di varare una norma non «contra personam», ovvero contro il magnate dei media e leader Pdl Silvio Berlusconi, ma una legislazione organica e chiara che valga per tutti. Ci sono i "piani alti" del conflitto d’interesse, regolati in molte Paesi (anche Usa e Germania) attraverso il meccanismo del "blind-trust" (l’affidamento delle aziende ad un collegio terzo di tecnici che faccia le scelte strategiche senza subire l’influenza del proprietario prestato alla politica), e ci sono i "piani bassi", risolvibili invece attraverso il criterio dell’incompatibilità. È fonte di possibili conflitti d’interesse, ad esempio, la sorella del sindaco che guida la partecipata comunale, o un incarico tecnico assegnato per via diretta dall’assessore all’Edilizia al cognato ingegnere o architetto. Qualche Paese, più avvezzo alle regole del buon senso, affida tutto a chiari codici deontologici del buon amministratore. In Italia potrebbe non bastare. E allora, una buona idea potrebbe essere di stabilire criteri nuovi e limpidi per mettere al vertice di aziende pubbliche manager con chiare competenze nel settore, rompendo il circolo vizioso della politicizzazione incompetente e spesso inconcludente.
Assunzioni e ricollocamento, spingere sulla detassazioneCon una disoccupazione arrivata a sfiorare il 12% in media e a superare il 38% per quanto riguarda i giovani, il lavoro è certamente una priorità che nessun governo, in qualsiasi forma, può permettersi di tralasciare o rinviare. Su alcune misure potrebbe essere trovato un vasto consenso. La prima, che accomuna seppur con modalità differenti le forze politiche oggi presenti in Parlamento, riguarda la possibile detassazione per 2 anni delle imposte dirette per gli imprenditori che assumono dipendenti con contratto a tempo indeterminato e dei giovani con contratto di apprendistato. Trattandosi di assunzioni aggiuntive rispetto a quelle oggi esistenti, il provvedimento non dovrebbe necessitare di coperture particolari. La scelta potrebbe ovviare anche all’attuale mancata copertura di una parte degli incentivi all’assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità.Una seconda misura – volta da un lato a scoraggiare le imprese dai licenziamenti "facili" e dall’altro ad aiutare i lavoratori – sarebbe quella di prevedere l’obbligo per le aziende che intendono ridurre il personale di finanziare e avviare progetti di outplacement (ricollocamento) utilizzando i servizi professionali delle agenzie per il lavoro.
Una legge sul finanziamento. Obiettivo trasparenza totaleLa presenza di M5S in Aula può accelerare la riforma più sentita dall’opinione pubblica: la drastica riduzione dei costi della politica. Due sono le proposte: abolizione totale del finanziamento pubblico sotto forma di rimborsi elettorali, con passaggio verso il "modello americano" delle elargizioni private; ulteriore ed ambiziosa riduzione dei rimborsi pubblici, con nuove regole sull’immediata reperibilità on line delle informazioni sui flussi e sugli utilizzi. Il Pd è per la seconda ipotesi perché teme che il passaggio al privato premi lobby e "ricconi". M5S e Pdl sono contro l’utilizzo dei soldi dei contribuenti per coprire (più che abbondantemente) le spese elettorali. Analoga trasparenza 2.0 dovrebbe essere adottata per i bilanci degli organi istituzionali ed amministrativi, e per i compensi e i patrimoni di tutti i politici e manager pubblici a qualsiasi livello territoriale. Se poi la legislatura avesse almeno un anno di vita, allora si potrebbe mettere mano alla riforma costituzionale del numero dei parlamentari e del bicameralismo. Un modello comune sembra esserci: una Camera con 500 eletti si occuperebbe delle leggi nazionali; il Senato diventerebbe l’Aula delle autonomie, dove rappresentanze regionali si occuperebbero delle competenze loro attribuite dalla Carta.
Meno Imu prima mossa per invertire il peso fiscaleSuperfluo insistere sulla pur doverosissima lotta all’evasione se non si inverte subito la rotta di una pressione fiscale divenuta insostenibile, «fuori linea» anche per la Corte dei Conti. Nel 2013 le entrate dello Stato toccheranno un nuovo primato (dopo quello 2012) raggiungendo il 45,3%, in rapporto al Pil (era al 42,5% nel 2011). Anche il cuneo fiscale (differenza fra il "lordo" del costo del lavoro e il netto pagato al lavoratore) ci vede al secondo posto con il 53,5%, subito dopo il 55,5% del Belgio. In campagna elettorale tutte le forze hanno promesso un intervento sull’Imu per la prima casa, che nel 2012 ha dato circa 4 miliardi. E urge far presto: a giugno si pagherà infatti la prima rata 2013 che, senza modifiche, sarà pari alla versione "maxi" dello scorso dicembre. A luglio poi arriveranno la Tares (su rifiuti e servizi), che si profila come un’altra mazzata, e l’aumento Iva dal 21 al 22%. Urgono ritocchi immediati, dunque. Anche limitati, nel caso: per l’Imu prima casa, se il costo dell’abolizione fosse ritenuto eccessivo sarebbe sufficiente fissare un limite di reddito (con l’imposta cancellata solo al di sotto) o ridurre quella troppo forte rivalutazione delle rendite, pari al 60%, che ha prodotto la vera stangata. O ancora, in alternativa, rafforzare le detrazioni, anche per i familiari a carico, con cui il governo Monti ha introdotto un primo abbozzo di "Fattore famiglia" nel sistema di tassazione.
Revisione da continuare. Province, ora basta rinviiIl governo Monti ha iniziato un processo di revisione della spesa pubblica che non può fermarsi, anzi deve essere accentuato per evitare che il nuovo esecutivo venga anche solo sfiorato dall’idea di aumentare la tassazione. Occorre vincere le resistenze politiche che si oppongono all’eliminazione o drastica riduzione delle province (il timido tentativo dei tecnici è stato stoppato proprio mentre suonava l’ultima sirena della legislatura), e c’è da razionalizzare l’intera presenza dello Stato sul territorio: troppi organi si accavallano e duplicano inutilmente. Altro tema-tabù è la razionalizzazione del personale della pubblica amministrazione, da riprendere attraverso un rapporto più sereno con i sindacati. La sensazione è che occorra procedere in maniera più equilibrata, senza risparmiare nessun comparto. Senza cedere al populismo (in campagna elettorale tutti, anche Berlusconi, si sono scagliati contro gli F35...), è possibile rivedere anche le spese militari senza compromettere la sicurezza dei nostri militari all’estero. Anche su questo punto Monti ha accennato un percorso che va ripreso. Nel frattempo, va sempre più messo a regime ed esteso il modello-Bondi su acquisti e costi intermedi delle amministrazioni, anche al fine di ridurre odiosi e diffusi fenomeni corruttivi.
(pagina a cura di Eugenio Fatigante, Marco Iasevoli, Francesco Riccardi e Vincenzo Rosario Spagnolo)