Un vizio di forma. Per un caso analogo, la Commissione europea era stata appena condannata dal Tribunale del Lussemburgo. Non gradendo una seconda condanna, ieri ha riaperto il caso già archiviato, per una "verifica". Nessun "processo", come ieri con il suo consueto eccesso di entusiasmo anticlericale titolava "La Repubblica", l’organo di stampa di Carlo De Benedetti che già tre anni fa aveva imbastito un’estenuante ed approssimativa inchiesta sui "Soldi del vescovo", vergognosamente zeppa di errori e falsi. Nessun "processo" ma una "verifica", al termine della quale ci sarà la chiusura formale e definitiva della vicenda o l’avvio di un procedimento di infrazione.La questione è stravecchia, riguarda Ici e Ires e viene rispolverata dai soliti noti militanti radicali, capitanati dall’ex europarlamentare Maurizio Turco. Dovessero spuntarla loro, finirebbero per pagare l’Ici tutti gli enti non commerciali che corrispondono a queste otto tipologie: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e sportive, nonché di religione e di culto. Nelle loro attività è inevitabile che vedano circolare del denaro; ma il loro fine non è mai di lucro. Inoltre hanno un preciso vincolo: gli eventuali avanzi di gestione devono essere reinvestiti nell’attività di utilità sociale svolta dall’immobile.Per capirci, se l’attacco radicale avesse buon esito finirebbero per pagare l’Ici anche le mense per i poveri, le case per ferie e gli oratori. Ma l’assalto indiscriminato, con l’accusa di "aiuti di Stato" contrari al principio di concorrenza, riguarderebbe un’infinità di altri soggetti, tra cui le onlus, le associazioni sportive dilettantistiche, le associazioni di volontariato, le fondazioni che operano nel campo dell’assistenza. In altri termini, tutti gli enti non commerciali.Se questa è la forma, la sostanza è che tutti questi soggetti svolgono attività ritenute socialmente utili. Da esse lo Stato e la comunità civile ricevono un vantaggio sociale ed economico superiore, anche in termini di risparmio di risorse, al mancato introito delle tasse corrispondenti.Vicenda vecchia e già chiusa, anzi nemmeno aperta, si diceva. Ma l’archiviazione tout court della denuncia è una modalità adottata sì, e tuttavia non formalmente prevista dal regolamento della Commissione europea. Che quindi si è vista "costretta" a riaprire la verifica. Lo Stato italiano avrà 18 mesi per fornire le informazioni richieste, e a quel punto ci sarà o la chiusura formale o la procedura per infrazione.Al di là della vicenda nuda e cruda, destinata secondo logica a concludersi con l’archiviazione, a destare stupore è l’accanimento con cui un certo laicismo anticattolico cerca sistematicamente di smantellare le forme di presenza della Chiesa sul territorio, con le sue attività educative e formative (scuole ed oratori), sanitarie (ospedali e centri di accoglienza per tossicomani e malati terminali), culturali e sportive. La strategia è di far passare le energie – umane ed economiche – messe in campo dalla Chiesa a vantaggio dell’intera società italiana come il loro esatto contrario, una sorta di "regalo" e di privilegio da parte della società nei confronti della Chiesa.La stessa strategia, finora ampiamente perdente, è stata attuata tre anni fa quando si cercò di far credere che la grande maggioranza della porzione di otto per mille destinata dagli italiani alla Chiesa non tornasse – come accade, direttamente o indirettamente – agli italiani stessi, ma finisse per foraggiare la "burocrazia ecclesiale", o addirittura finisse al Vaticano, confuso volutamente con la Chiesa italiana.Una Chiesa che, anziché servire, si fa servire. Anziché mettersi a disposizione della società, gode di indebiti privilegi: è la tesi, dalle forti venature ideologiche, che sottostà anche all’offensiva che passa dall’Europa e cerca di mettere sotto accusa lo Stato italiano, reo di "ledere la libera concorrenza" favorendo Chiesa, onlus, società sportive dilettantistiche, associazionismo e volontariato.
Le pressioni dei radicali fanno muovere la Commissione. Nel mirino le opere assistenziali e le attività delle Onlus. «Violate le regole della concorrenza». Lo Stato italiano avrà diciotto mesi per fornire le informazioni richieste. A quel punto ci sarà o la chiusura formale o la procedura d’infrazione.
Un vizio di forma. Per un caso analogo, la Commissione europea era stata appena condannata dal Tribunale del Lussemburgo. Non gradendo una seconda condanna, ieri ha riaperto il caso già archiviato, per una "verifica". Nessun "processo", come ieri con il suo consueto eccesso di entusiasmo anticlericale titolava "La Repubblica", l’organo di stampa di Carlo De Benedetti che già tre anni fa aveva imbastito un’estenuante ed approssimativa inchiesta sui "Soldi del vescovo", vergognosamente zeppa di errori e falsi. Nessun "processo" ma una "verifica", al termine della quale ci sarà la chiusura formale e definitiva della vicenda o l’avvio di un procedimento di infrazione.La questione è stravecchia, riguarda Ici e Ires e viene rispolverata dai soliti noti militanti radicali, capitanati dall’ex europarlamentare Maurizio Turco. Dovessero spuntarla loro, finirebbero per pagare l’Ici tutti gli enti non commerciali che corrispondono a queste otto tipologie: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e sportive, nonché di religione e di culto. Nelle loro attività è inevitabile che vedano circolare del denaro; ma il loro fine non è mai di lucro. Inoltre hanno un preciso vincolo: gli eventuali avanzi di gestione devono essere reinvestiti nell’attività di utilità sociale svolta dall’immobile.Per capirci, se l’attacco radicale avesse buon esito finirebbero per pagare l’Ici anche le mense per i poveri, le case per ferie e gli oratori. Ma l’assalto indiscriminato, con l’accusa di "aiuti di Stato" contrari al principio di concorrenza, riguarderebbe un’infinità di altri soggetti, tra cui le onlus, le associazioni sportive dilettantistiche, le associazioni di volontariato, le fondazioni che operano nel campo dell’assistenza. In altri termini, tutti gli enti non commerciali.Se questa è la forma, la sostanza è che tutti questi soggetti svolgono attività ritenute socialmente utili. Da esse lo Stato e la comunità civile ricevono un vantaggio sociale ed economico superiore, anche in termini di risparmio di risorse, al mancato introito delle tasse corrispondenti.Vicenda vecchia e già chiusa, anzi nemmeno aperta, si diceva. Ma l’archiviazione tout court della denuncia è una modalità adottata sì, e tuttavia non formalmente prevista dal regolamento della Commissione europea. Che quindi si è vista "costretta" a riaprire la verifica. Lo Stato italiano avrà 18 mesi per fornire le informazioni richieste, e a quel punto ci sarà o la chiusura formale o la procedura per infrazione.Al di là della vicenda nuda e cruda, destinata secondo logica a concludersi con l’archiviazione, a destare stupore è l’accanimento con cui un certo laicismo anticattolico cerca sistematicamente di smantellare le forme di presenza della Chiesa sul territorio, con le sue attività educative e formative (scuole ed oratori), sanitarie (ospedali e centri di accoglienza per tossicomani e malati terminali), culturali e sportive. La strategia è di far passare le energie – umane ed economiche – messe in campo dalla Chiesa a vantaggio dell’intera società italiana come il loro esatto contrario, una sorta di "regalo" e di privilegio da parte della società nei confronti della Chiesa.La stessa strategia, finora ampiamente perdente, è stata attuata tre anni fa quando si cercò di far credere che la grande maggioranza della porzione di otto per mille destinata dagli italiani alla Chiesa non tornasse – come accade, direttamente o indirettamente – agli italiani stessi, ma finisse per foraggiare la "burocrazia ecclesiale", o addirittura finisse al Vaticano, confuso volutamente con la Chiesa italiana.Una Chiesa che, anziché servire, si fa servire. Anziché mettersi a disposizione della società, gode di indebiti privilegi: è la tesi, dalle forti venature ideologiche, che sottostà anche all’offensiva che passa dall’Europa e cerca di mettere sotto accusa lo Stato italiano, reo di "ledere la libera concorrenza" favorendo Chiesa, onlus, società sportive dilettantistiche, associazionismo e volontariato.
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