Il ministero dell'Economia e delle finanze - Ansa
Cento gradini in salita, uno ogni giorno dopo la partenza del prossimo governo a guida Meloni. L’ostacolo principale, il gradino più alto, sarà il primo, cioè la legge di Bilancio; ma ancor prima c’è da sbrigare la "pratica" da 14 miliardi del "decreto-Aiuti ter", varato da Draghi per arginare il caro energia: il provvedimento decade il 22 novembre e per approvarlo celermente si costituirà con tutta probabilità una commissione parlamentare speciale, con l’intesa di tutti i nuovi capigruppo, per convertire il provvedimento a fine ottobre, quando il Parlamento sarà insediato ma le commissioni non saranno ancora operative.
Se questo primo scoglio sarà superato con facilità e se, venerdì prossimo, Moody’s rinuncerà ad infierire su un Paese dove ancora non c’è un governo sebbene la nuova maggioranza sia guardata con grande preoccupazione, l’attenzione si sposterà tutta sulla manovra. La "Finanziaria" come è noto non potrà essere varata prima di metà novembre, quando si presume che il governo sarà in carica e ci sarà il nuovo ministro del Tesoro. Ma il problema non è tanto il ritardo rispetto alla data canonica fissata dalle norme per il 20 ottobre, quanto piuttosto il quadro macroeconomico e il livello del deficit del 2023 sul quale ci potrà essere già un primo attrito nella coalizione vincente.
Vediamo perché. La previsione tendenziale del Pil del prossimo anno nella imminente Nadef sarà ridotta allo 0,6-0,7%, cioè circa 2 punti in meno rispetto alla vecchia stima (del resto ieri Ocse e Standard&Poor’s hanno tagliato severamente la crescita italiana). Il deficit, di conseguenza, crescerà di circa 20 miliardi portandosi dal 3,9 previsto dal Def di aprile al 5% circa.
Un deficit così alto non piace né al vecchio governo, né probabilmente al nuovo che non vorrà presentarsi con questo biglietto da visita all’Europa: dunque con lo stesso metodo che è stato usato per gli scostamenti di bilancio di quest’anno, le risorse in più dovute al gettito gonfiato dall’effetto inflazione saranno utilizzate per mantenere il deficit-Pil intorno al 3,9-4%. Questa dovrebbe essere l’intesa della ipotetica "due diligence", ovvero della verifica contabile, anche se all’interno del nuovo governo potrebbe subito dopo prevalere la tesi di chi vuole un maggior deficit programmatico, in sede di legge di Bilancio.
Se si terrà la guardia alta sul deficit, la conseguenza sarà che i 20 miliardi di extragettito non potranno essere usati però per alimentare i 100 giorni di Giorgia che partirà con il serbatoio vuoto. Certamente nessuno pensa che il nuovo governo metterà in campo subito le promesse che assommano dai 100 ai 160 miliardi come più volte si è detto, ma qualcosa il centrodestra dovrà fare. Se vorrà dare un segnale sulle tasse, sul potere d’acquisto e sull’energia, come hanno battuto i rappresentati del centrodestra in campagna elettorale, dovrà cercare risorse altrove.
Così nel caso di una opzione per un deficit ritenuto troppo esiguo Salvini, deluso dalle urne, potrebbe opporsi e tornare alla carica con il suo cavallo di battaglia dei 30 miliardi in più, spingendo di fatto per un deficit più alto. Oppure potrebbe riproporre l’idea di raccogliere risorse da quegli 8 miliardi del Reddito di cittadinanza che tuttavia, oltre che difficilmente intaccabili in un periodo "nero" come l’attuale, hanno fruttato voti a Conte e ai suoi dell’M5s. Se il "no" arriverà sui due fronti citati, non resterà che il condono per recuperare risorse, tenendo conto che si tratta di gettito una tantum. Previsto dal programma di centrodestra.