sabato 3 agosto 2013
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​Tutto quello che non avrebbero voluto vedere si presenta davanti agli occhi del Pd, quasi spiazzato dall’escalation che nel giro di qualche ora mette in scena un Pdl agguerrito. Dall’altra parte, Beppe Grillo non aspetta altro che minacciare di ricorrere alla base, andando anche oltre i suoi parlamentari. La crisi si addensa come una nube sui Palazzi. Guglielmo Epifani non può chiudersi in un fortino ad attendere gli eventi: è in giro per l’Italia e gli si chiede conto. «È chiaro che Berlusconi è un combattente, non è un uomo che si rassegna, che anche quando cade cerca di rialzarsi, forse è questa la sua qualità più forte, ma d’altra parte è anche una persona che si rende conto della difficoltà del passaggio», commenta senza scomporsi.

Il leader del Pd ha ben presente che il suo partito freme. E non si mostra tenero: «Dal Pdl arrivano ricette inquietanti: chiedere al presidente della Repubblica una cosa come la grazia e tirare in mezzo Napolitano è una pressione indebita». Ma Epifani sa anche che finora è stata la linea della prudenza a prevalere. A Firenze, il sindaco Matteo Renzi continua a non commentare, ma si incontra con il ministro Dario Franceschini. A Roma, il renziano Paolo Gentiloni chiede «una riunione» del partito, «magari giusto per discutere dell’assalto alle istituzioni». E a lui si associa Roberto Giachetti. Per i parlamentari dell’area del sindaco fiorentino bisogna almeno accelerare sul congresso per «mettere il partito in sicurezza, convocando in autunno primarie aperte», chiede Andrea Marcucci. Tra i democratici, però, Epifani deve rispondere anche ai più inquieti.

Per Rosy Bindi «le minacce e gli ultimatum del Pdl hanno oramai decisamente superato il segno, andando oltre il limite». Pippo Civati trae le conseguenze: «Voglio sperare che si apra una crisi di governo alla luce del sole».Il segretario, però, resta impassibile. «La sentenza è uno spartiacque», ammette. E il Pd la farà rispettare, come è ovvio. Ma Epifani continua a voler credere che Berlusconi non andrà fino in fondo. «Con molti se e con molti ma, qualora avesse detto questo, vuol dire che romperebbe quel patto contratto con gli italiani al momento di creare un governo di servizio». In quel caso, sì, «altro quindi che distinzione fra piano politico e giudiziario».

Insomma, il leader pd si dà un tempo, massimo due giorni, per comprendere gli sviluppi degli eventi. Per ora il Pdl deve incassare la batosta e qualcosa del genere poteva essere messa in conto. Però lo stesso capogruppo al Senato Luigi Zanda stenta a credere che «nel mezzo della più grave crisi economica e sociale del Paese dal dopoguerra ad oggi, con milioni di disoccupati e migliaia di aziende in crisi, l’annuncio di dimissioni in massa dei parlamentari del Pdl corrisponda al vero».

Certo, la reazione degli alleati è estrema e fa paura: «Napolitano e Letta fermino la pagliacciata del Pdl prima che sia troppo tardi», scrive Matteo Orfini su twitter. Mentre, nel timore di restare schiacciato, Dario Ginefra è più drastico: «Enrico Letta a questo punto farebbe bene a salire subito al Quirinale».

Gli scenari si moltiplicano, e i democratici, con gli occhi puntati al congresso, li vagliano uno ad uno. In questo quadro, l’incontro tra Franceschini e Renzi sembra rispondere a una trattativa, che può andare dall’immediato fino alle assise. Con l’unica certezza, che votare ora con il Porcellum sarebbe una iattura. Ma non è tempo di riforme, secondo Beppe Grillo, tantomeno di quella della Giustizia: «Le coincidenze non esistono e questa fretta di riformare la Giustizia dopo la condanna di Berlusconi è altamente sospetta. Letta Nipote la vuole. Servirebbe a tirare a campare. Capitan Findus Letta ama Berlusconi, grazie a lui è diventato presidente del Consiglio».

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