Invisibili. Così le vogliono: chi le sfrutta, chi le ospita, chi ne abusa. Nascoste dagli occhi di possibili controlli, da chi sulla strada osserva, riporta, denuncia. E nascoste anche dai limiti che quella stessa strada, tanto vituperata, ha in qualche modo sempre posto alla sessualità a pagamento, almeno in Italia. A cominciare dall’età di chi ne è vittima. La prostituzione, oggi, ha un volto “nuovo”. Orribile. È tornata a rinchiudersi nelle case, nei sottoscala dei locali notturni, nei fittizi centri estetici. E certo non per garantire sicurezza e salute alle donne che mercanteggia, o ai loro clienti.Il quadro desolante è stato composto a difficoltà, e fotografato, dalle associazioni impegnate sul campo della lotta alla tratta e alcune istituzioni (tra cui il Gruppo Abele di don Ciotti, Cat Cooperativa sociale, Dedalus, Mimosa, la Caritas diocesana di Padova, On the road, il Comune di Venezia, la Regione Emilia Romagna, Piam onlus, Tampep) in collaborazione con le forze dell’ordine e la polizia municipale di centinaia di comuni sparsi lungo lo Stivale. Risultato: negli ultimi due anni tra il 40 e il 70% della prostituzione su strada ha “traslocato” al chiuso. Stiamo parlando di circa 15mila donne, una media di 68 per ogni 100 che sono rimaste lungo i marciapiedi. Giovani, 25 anni per lo più. E giovanissime: migliaia di minorenni – le “bamboline”, così come vengono chiamate dai loro protettori quando le propongono ai clienti – che possono essere vendute in appartamento proprio perché al sicuro dai controlli della polizia e dalle denunce dei comuni cittadini, che sulla strada potrebbero facilmente accorgersi della loro età. Quasi 8 su 10 sono straniere (per lo più provenienti dal Sudamerica, dall’Europa dell’Est e dalla Cina). Una proporzione inversa a quella della nazionalità dei clienti, per la quasi totalità italiani. Giovani e giovanissimi anche loro (tra i 18 e i 38/40 anni). Ma soprattutto ricchi. Tanto da potersi permettere appuntamenti al chiuso: dove ai costi delle prestazioni si aggiungono quelli delle spese da sostenere (affitto, acqua, luce, gas). Settecento, a volte mille euro a serata. Cui va aggiunto l’uso delle sostanze, sempre più massiccio, quasi sempre a carico del cliente stesso: cocaina per lo più, ma anche acidi, pasticche.Una buona parte entrano negli appartamenti, solitamente gestiti da donne più anziane (le “tenutarie” d’un tempo), volontariamente. Sanno che si prostituiranno, sanno che saranno sfruttate, ma sanno anche che avranno casa, che terranno per sé una piccola percentuale del guadagno, che eviteranno i controlli (la maggior parte sono irregolari). Ma c’è anche la spaventosa realtà dello sfruttamento, e delle ragazze obbligate a prostituirsi, segregate negli appartamenti, spostate ogni 6/8 mesi da una città all’altra, costrette a lavorare 24 ore su 24, soprattutto nelle grandi città, dove passano e vanno i pendolari, gli impiegati della pausa pranzo, i dirigenti prima i rincasare la sera.Eccola, l’invisibilità. Con i suoi demoni, i suoi segreti. E con la sua sfrontatezza, anche: perché se invisibile è la pratica, della nuova prostituzione, è invece visibilissima la sua offerta. Pubblicizzata, addirittura. Sui giornali, le riviste di settore. Su siti Internet che assomigliano a vere e proprie vetrine: pagine e pagine web di numeri di telefono, annunci, fotografie, descrizioni dettagliate. Filtri, giungle di link e di voci che rispondono a un numero per quattro o cinque giorni, poi il cellulare scompare. «Come forze dell’ordine – spiega Antonino Runci, sostituto commissario della Squadra mobile della Questura di Torino – abbiamo grosse difficoltà a gestire e monitorare il fenomeno, non abbiamo il “polso” della situazione. Un tempo potevamo dire quante prostitute c’erano, zona per zona. Conoscevamo le etnie, dove si posizionavano, eravamo in grado di fare calcoli precisi perché tutto era sotto i nostri occhi. Purtroppo la prostituzione al chiuso è difficile da monitorare, il che si traduce in una maggiore difficoltà di intervento». D’altronde anche seguire il “filo rosso” della pubblicità è pressoché impossibile per polizia e carabinieri, che in questo caso si misurano con la rete di rimandi tra il web, affittuari prestanome, contratti in nero: un puzzle per la cui soluzione (spesso limitata a un solo giro d’affari) occorrono decine di uomini, specializzati in campi diversi. «Una difficoltà di investigazione – aggiunge il dirigente della Squadra mobile della Questura di Cuneo, Tommaso Pastore – percepita in tutta la sua valenza anche dalla criminalità organizzata, che non a caso sta spostando i propri traffici da sfere più controllate come quella del traffico di stupefacenti verso il contesto di questo tipo di sfruttamento». Male che attira male, che cresce. Nell’ombra.