Fatica ad avanzare tra la folla all’Obihall di Firenze, Matteo Renzi. Dietro di lui Pier Luigi Bersani. La promessa è mantenuta: il sindaco entra in campagna elettorale. La sala esplode, tanta gente resta fuori. I due ridono, si compiacciono, raggiungono il palco. Da Roma sono stati "disegnati" come i Blues Brothers. Il segretario abbraccia il rottamatore. Poi il primo cittadino di Firenze passa alla presentazione. È la tappa toscana del leader pd, ma è anche la dimostrazione che il partito non è quello di una volta. Un obiettivo Renzi lo ha raggiunto: rottamare le correnti. In sala giovani e donne così come in lista. Ma in lista mancano tanti renziani che si sono spesi per il sindaco e che si sentono traditi, per non essere stati recuperati dal leader democratico. Nel teatro fiorentino, però, va in scena un altro spettacolo. Il Pd unito contro tutto e contro tutti. Nonostante tutto.«Voglio dare il benvenuto al prossimo presidente del Consiglio Pier Luigi Bersani», esordisce Matteo, che si toglie la giacca, come nella sfida per le primarie e riceve di lì a poco la «cortesia» di Bersani che fa altrettanto. Renzi non nasconde e non nega il rammarico per la sconfitta: «Certo costa fatica dal punto di vista dell’orgoglio». E questa prova di sincerità la offre a quanti tra i suoi non vorrebbero vederlo sul palco. I non toscani. Perché i toscani hanno vinto le primarie nella regione e sono lì ad applaudire. «A chi non ha votato per me vorrei dire che non è sempre stato facile discutere», ma è «meglio dirci prima le cose, i finti unanimismi hanno fatto sì che per due volte Romano Prodi è andato a casa. Non lo faremo».Renzi rispolvera temi e polemiche passate, ma in chiave ironica e bonaria: «Ti verremo a cercare – scherza con Bersani, che immagina a Palazzo Chigi, riferendosi all’incontro che ebbe ad Arcore con Silvio Berlusconi –, abbiamo una certa esperienza nell’andare a scovare i presidenti del Consiglio anche in sedi non istituzionali». Ma la cosa più importante, insiste, è che «noi non siamo oggi a contarci in un gioco di correnti. Qui non ci sono bersaniani e renziani. Qui c’è il Pd» che è «di tutti». Insomma, «noi oggi siamo qui per dire che Firenze vuole contribuire all’Italia giusta».E allora l’avversario oggi è altrove. Renzi non guarda tanto a Berlusconi, quanto a quel Monti a cui tutti lo hanno associato in questo tempo e che avrebbe perso quella «credibilità personale» a lui cara. «Per mesi ha detto che non si sarebbe candidato e oggi è nel ring con Casini e Fini». Renzi entra nella polemica del giorno con il Professore: «Monti ha detto che il Pd è nato nel ’21... deve aver confuso con la sua carta d’identità».Quanto al Cavaliere, che lo aveva corteggiato durante le primarie, il sindaco non è certo compiacente: «Considero che Berlusconi non dobbiamo sottovalutarlo e chi lo fa commette un errore». E però «non dobbiamo neanche avere paura di Berlusconi. Può ingaggiare Balotelli, ma anche se ingaggiasse il mago Silvan non servirebbe a far sparire le cose che abbiamo visto in questi anni».Come promesso, Renzi evita di ripetere quanto aveva sostenuto nelle primarie riguardo aelle responsabilità del Pd nei fatti di Mps. Si limita a lanciare il suo messaggio: «L’Italia giusta si aspetta un governo che sia capace di un rinnovato rapporto tra finanza e politica, di questo parlerà Bersani». Perché «quando la finanza fa bene il suo lavoro nascono cose belle: senza il fiorino a Firenze non ci sarebbero state arte, cultura, biblioteche per i poveri». Se poi al segretario dicono di fare il leone, Renzi gli regala il marzocco, simbolo della Repubblica di Firenze.