mercoledì 15 gennaio 2025
Con un vecchio portatile, un rifugiato organizza lezioni a distanza per bambini e bambine bloccati e chiusi in casa. Non sono mai andati a scuola e in quelle ore dimenticano la violenza vissuta
Lo studio dei piccoli profughi a Tripoli avviene a distanza

Lo studio dei piccoli profughi a Tripoli avviene a distanza

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La Dad a Tripoli per i piccoli profughi. Che hanno pochi anni e alle spalle viaggi sulle rotte della morte con i trafficanti e la detenzione nei lager libici. Hanno esperienze di violenza anche sui loro genitori, hanno visto la gente morire. E non sanno più cos’è una casa.

Non lo era la baracca del campo profughi che hanno lasciato, non lo è l’alloggio spesso fatiscente dove si sono fermati anche mesi lungo il viaggio, e neppure il tugurio sovraffollato a Tripoli dove vivono chiusi 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana per scampare alle retate di subsahariani di polizia e milizie. Non sanno leggere né scrivere perché non hanno avuto il tempo di andare a scuola. Da qualche settimana una sorta di scuola (con un’iniziativa di didattica a distanza) l’ha avviata un profugo eritreo a Tripoli, Solomon, bloccato nella capitale da quasi tre anni e prosegue grazie alla solidarietà tra migranti della diaspora eritrea. Abbiamo raccontato lo scorso 24 settembre quello che gli è successo tra Sudan, Sahara e i respingimenti in mare della cosiddetta guardia costiera libica.

«Un giorno a Tripoli - racconta - ho chiesto a un connazionale 11enne di leggere una frase e non ci riusciva, perché mi ha confessato che non aveva mai avuto la possibilità di andare a scuola ed era analfabeta. Da quel momento decisi di insegnargli io a leggere e scrivere. Cominciò a imparare e vidi il cambiamento. Poi mi sono chiesto: quanti bambini ci sono in situazioni simili? Ho capito che dovevo fare qualcosa per aiutarli e, così facendo, aiutare anche me stesso».

Solomon vive chiuso in casa nella capitale libica dove le milizie effettuano rastrellamenti di migranti subsahariani in continuazione, ufficialmente per stroncare l’immigrazione “clandestina”, in realtà per chiuderli in prigione e torturarli, venderli come schiavi o chiedere riscatti alle famiglie.

«Ho deciso di insegnare loro tramite zoom a distanza – prosegue – e ha funzionato. All'inizio non avevo materiale didattico. È stato difficile perché spesso faticavano a rimanere concentrati. Quando usavo la lavagna, era difficile mantenere la loro attenzione ed era una grande sfida. Per gestire meglio le cose, avevo bisogno di un computer portatile. Ho parlato con il mio vicino, un sudanese che vive qui con la famiglia da quasi 30 anni. Lavora come tassista. Quando ho condiviso la mia idea, è stato molto felice. Mi ha raccontato delle sue lotte per insegnare ai suoi figli la loro lingua madre, la cultura e le loro tradizioni. Mi ha dato molti consigli e mi ha persino offerto il vecchio portatile di sua figlia, che ne aveva da poco acquistato uno nuovo. Quel portatile è stata una grande opportunità. Gli ho detto che ero preoccupato che la polizia venisse a casa nostra e prendesse tutto, ma lui mi ha incoraggiato ad andare avanti e a fare quello che avevo programmato».

All'inizio aveva 31 allievi di età compresa tra i 7 e i 13 anni. «Alcuni non hanno potuto continuare per vari motivi e ora ho 27 studenti. Il programma di base prevede imparare a leggere e scrivere in tigrino. E lezioni di inglese, a partire dalle basi».
Che esperienze hanno passato i bambini? «La maggior parte di loro ha attraversato il deserto del Sahara con i genitori, sopportando molte difficoltà. Molti sono stati detenuti con le loro famiglie a Tripoli. Quando gli chiedo delle loro esperienze, non amano ricordare. Per loro è un trauma profondo. Non possono uscire di casa perché non è sicuro, quindi passano il loro tempo in casa, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Quando facciamo le nostre lezioni di Zoom, sono felici di incontrare altri bambini come loro. Condividono le loro storie, quello che hanno visto e quello che sanno. Le nostre lezioni si svolgono dal lunedì al sabato, per due ore al giorno. Non hanno nemmeno un tavolo o una sedia, ma hanno un forte desiderio di imparare».

Come in Italia ai tempi del Covid le lezioni dal piccolo schermo di un computer o di uno smarphone aiutano i piccoli migranti di Tripoli a resistere.

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