giovedì 10 agosto 2023
Il campione ingaggiato da Riad esulta con il gesto che gli ha dettato la fede ma che suona come uno schiaffo in faccia al potere islamico che non tollera pubbliche manifestazioni di fedi (altrui)
Cristiano Ronaldo si fa il segno della Croce in Arabia Saudita

Cristiano Ronaldo si fa il segno della Croce in Arabia Saudita - Frame del video

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Un segno della Croce per un cristiano è naturale come respirare. Dice appartenenza, preghiera, filiazione, affidamento, gratitudine. Gesto che evoca la donazione suprema, per sua natura non esclude ma apre a tutti. E a chi cristiano non è risulta il semplice richiamo a un messaggio universale, nel quale può non riconoscersi ma che non può che riconoscere.

Poi c’è chi Cristiano lo è anche di nome, e sembra portare un supplemento di involontaria simbologia. Ma non a tutti quelli che si chiamano così è concesso di potersi mostrare come sono, per battesimo se non per testimonianza. A Cristiano Ronaldo, il 38enne campione portoghese cinque volte Pallone d’oro, un segno della Croce poteva costare caro. Capriccio calcolato dei sauditi che si sono assicurati le sue prestazioni sportive - ancora notevoli, anche se a fine carriera -, da gennaio è in forza all’Al-Nassr, che in Arabia è una potenza calcistica e che per averlo gli ha garantito uno stipendio da 200 milioni di dollari a stagione, fino al 2025.

È con la maglia gialla del club di Riad che in un video virale sul web si vede “CR7” esultare alla sua maniera per il milionesimo gol: corsa verso la bandierina con lo sguardo del dominatore e piroetta con atterraggio da superman e muscoli in vista. Solo che per una volta - e chissà quante altre che nella sua sterminata carriera europea ci sono passate inosservate - tra la prima e la seconda gli è venuto spontaneo il gesto che la mamma gli ha insegnato da bambino: un segno della Croce, fulmineo ma leggibilissimo. In uno stadio europeo è un modo persino banale che si usa per sottolineare anche solo l’ingresso o l’uscita dal campo; nel campionato di uno dei Paesi religiosamente più integralisti del mondo suona come uno schiaffo in faccia al potere politico e religioso islamico che non tollera pubbliche manifestazioni di fedi altrui, figuriamoci il segno per eccellenza che contraddistingue i seguaci di Gesù.



A quanta povera gente qui e altrove sulla mappa dell’islam radicale abbiamo letto che gesti analoghi sono costati persecuzioni, carcere, la stessa vita. Ronaldo ha uno scudo formidabile che va ben oltre la sua classe e lo stipendio: i sauditi l’hanno ingaggiato come testimonial mondiale del loro impegno di “normalizzazione” davanti al mondo, avanguardia dell’esercito di calciatori più o meno illustri che stanno affluendo, ancora nel pieno delle loro forze atletiche, nella penisola desertica, attratti da ingaggi esorbitanti per dare vita a quello che più che un campionato (al via proprio l’11 agosto) sembra l’album delle figurine, un circo dove i soldi sono l’ultimo dei problemi.

A giudicare dalle reazioni stizzite dei datori di lavoro di Ronaldo, il primo è la libertà di coscienza: quella non si paga e non si coarta. Basta un segno di Croce a scoperchiare un meccanismo inesorabile che chiede obbedienza in cambio di (molti) soldi. I calciatori di tutto il mondo che stanno sgomitando per giocare nel Al-Ahli o nell’Al-Azem – qualunque cosa siano, basta che paghino bene – hanno probabilmente smesso da tempo di farsi domande sulla propria coscienza: dove si firma il contratto? Ma il più grande di loro che con un segno di Croce imparato da bambino rischia di far grippare il motore del petrol-calcio mostra la fragilità di qualunque sistema umano se prescinde dalla libertà, e da quella religiosa in primis proprio perché la più delicata e vulnerabile.

Prima del calcio d’inizio del nuovo giocattolo globale, con dirette settimanali che stanno per iniziare persino sulle nostre tv, fermiamoci a guardare il video di Ronaldo, detto Cristiano: in quella esultanza spontanea andata di traverso ai nuovi padroni del football c’è dentro la forza esplosiva non dei suoi celebrati muscoli ma di un messaggio eterno di liberazione.





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