Cristiano Ronaldo si fa il segno della Croce in Arabia Saudita - Frame del video
Un segno della Croce per un cristiano è naturale come respirare. Dice appartenenza, preghiera, filiazione, affidamento, gratitudine. Gesto che evoca la donazione suprema, per sua natura non esclude ma apre a tutti. E a chi cristiano non è risulta il semplice richiamo a un messaggio universale, nel quale può non riconoscersi ma che non può che riconoscere.
Poi c’è chi Cristiano lo è anche di nome, e sembra portare un supplemento di involontaria simbologia. Ma non a tutti quelli che si chiamano così è concesso di potersi mostrare come sono, per battesimo se non per testimonianza. A Cristiano Ronaldo, il 38enne campione portoghese cinque volte Pallone d’oro, un segno della Croce poteva costare caro. Capriccio calcolato dei sauditi che si sono assicurati le sue prestazioni sportive - ancora notevoli, anche se a fine carriera -, da gennaio è in forza all’Al-Nassr, che in Arabia è una potenza calcistica e che per averlo gli ha garantito uno stipendio da 200 milioni di dollari a stagione, fino al 2025.
È con la maglia gialla del club di Riad che in un video virale sul web si vede “CR7” esultare alla sua maniera per il milionesimo gol: corsa verso la bandierina con lo sguardo del dominatore e piroetta con atterraggio da superman e muscoli in vista. Solo che per una volta - e chissà quante altre che nella sua sterminata carriera europea ci sono passate inosservate - tra la prima e la seconda gli è venuto spontaneo il gesto che la mamma gli ha insegnato da bambino: un segno della Croce, fulmineo ma leggibilissimo. In uno stadio europeo è un modo persino banale che si usa per sottolineare anche solo l’ingresso o l’uscita dal campo; nel campionato di uno dei Paesi religiosamente più integralisti del mondo suona come uno schiaffo in faccia al potere politico e religioso islamico che non tollera pubbliche manifestazioni di fedi altrui, figuriamoci il segno per eccellenza che contraddistingue i seguaci di Gesù.
Cristiano Ronaldo anota gol y se hace la señal de la cruz ante miles de espectadores musulmanes:pic.twitter.com/DJeZG1wbC9
A quanta povera gente qui e altrove sulla mappa dell’islam radicale abbiamo letto che gesti analoghi sono costati persecuzioni, carcere, la stessa vita. Ronaldo ha uno scudo formidabile che va ben oltre la sua classe e lo stipendio: i sauditi l’hanno ingaggiato come testimonial mondiale del loro impegno di “normalizzazione” davanti al mondo, avanguardia dell’esercito di calciatori più o meno illustri che stanno affluendo, ancora nel pieno delle loro forze atletiche, nella penisola desertica, attratti da ingaggi esorbitanti per dare vita a quello che più che un campionato (al via proprio l’11 agosto) sembra l’album delle figurine, un circo dove i soldi sono l’ultimo dei problemi.
A giudicare dalle reazioni stizzite dei datori di lavoro di Ronaldo, il primo è la libertà di coscienza: quella non si paga e non si coarta. Basta un segno di Croce a scoperchiare un meccanismo inesorabile che chiede obbedienza in cambio di (molti) soldi. I calciatori di tutto il mondo che stanno sgomitando per giocare nel Al-Ahli o nell’Al-Azem – qualunque cosa siano, basta che paghino bene – hanno probabilmente smesso da tempo di farsi domande sulla propria coscienza: dove si firma il contratto? Ma il più grande di loro che con un segno di Croce imparato da bambino rischia di far grippare il motore del petrol-calcio mostra la fragilità di qualunque sistema umano se prescinde dalla libertà, e da quella religiosa in primis proprio perché la più delicata e vulnerabile.
Prima del calcio d’inizio del nuovo giocattolo globale, con dirette settimanali che stanno per iniziare persino sulle nostre tv, fermiamoci a guardare il video di Ronaldo, detto Cristiano: in quella esultanza spontanea andata di traverso ai nuovi padroni del football c’è dentro la forza esplosiva non dei suoi celebrati muscoli ma di un messaggio eterno di liberazione.