Il Congresso di Verona (Fotogramma)
“Io sono un fuori programma, non volevo accettare il vostro invito”. La voce è titubante, lo sono anche i modi, ma la senatrice pentastellata Tiziana Drago sfodera tutto il suo coraggio presentandosi a sorpresa sul palco del XIII Congresso mondiale delle Famiglie a Verona e spiega: “Temevo le impostazioni estremiste. Ma poi in questi giorni ho visto che gli estremismi ci sono da entrambe le parti, a questo punto ho deciso di intervenire… ma a titolo privato”, non del partito. Parole che al momento gelano la platea dei cosiddetti pro-life, che fino a quel momento hanno ascoltato relatori da ogni parte del mondo raccontare le politiche dei loro Paesi per la famiglia e di quanto ancora occorra fare. Hanno tanto applaudito, finora, ma adesso c’è una senatrice che chiede il dialogo e lo fa da una prospettiva apparentemente molto lontana. “Sono cattolica e madre di 4 figli – continua lei –. Poco fa qui ho sentito dire che della legge sulle unioni civili ha usufruito solo l’1,4% delle coppie, ma questa non è la strada giusta: anche se sono per pochi, i diritti vanno tutelati”.
È vero, ammette, che quella legge non era una priorità, “ma ora andiamo avanti sul resto”, ovvero per un reale aiuto alle famiglie tutte, specie quelle numerose, le stesse che la Drago ha rappresentato a lungo nella sua Catania. Insomma, “sono qui per dimostrare che il M5S non è solo quello allineato alle dichiarazioni di questi giorni ma ha tante anime. Dobbiamo lavorare tutti insieme per questo Stato, che è laico. Noi abbiamo proposto di ridurre l’Iva dal 22 al 5% per l’infanzia e la riforma dell’Isee (l’indicatore della situazione economica, ndr), se alla fine della legislatura avessimo finalmente un welfare familiare capace di sconfiggere la denatalità, sarei felice”. Applausi, finalmente.
La giornata era iniziata tra “polemiche” più mediatiche che reali, con molte forze dell’ordine all’ingresso della Gran Guardia e nessuna contestazione (pianificata invece per domani), ma anche con il leader del Family Day, il neurologo Massimo Gandolfini, che rispondendo alle domande dei giornalisti snocciolava i dati sull’aborto: “Dal 1978 a oggi in Italia sono morti 6 milioni di bambini, e solo 200mila sono stati salvati dalle varie associazioni come il Movimento per la Vita. Significa che la legge 194 viene applicata esclusivamente negli articoli che permettono la soppressione di una vita, ma non in tutti quelli che aiutano la maternità e danno alle madri una vera possibilità di scegliere di far nascere il proprio figlio”.
Cifre, dati, realtà, ma in una giornata tutto sommato tranquilla fanno titolo per chi cercava il preannunciato scontro. “Apprezziamo i toni concilianti che si respirano al Congresso, ma dite chiaro se sposate le dichiarazioni di Gandolfini – accuserà infatti in conferenza stampa qualche giornalista, rivolto agli organizzatori Toni Brandi e Jacopo Coghe –: è questa la linea del Congresso?”. Coghe contrattacca: “Voi che siete giornalisti e amate i numeri, quanti fondi ricevono le associazioni che aiutano le madri a tenersi il figlio?”. Gandolfini resta sereno. Cita le parole con cui papa Francesco ha più volte stigmatizzato l’aborto (“chi lo procura è come un sicario”) e la solitudine in cui le donne sono abbandonate.
Fuori programma anche l’incursione di Giuseppe Cruciani, conduttore radiofonico della “Zanzara”, quanto di più lontano ci possa essere dal mondo dei cattolici e della famiglia cosiddetta “tradizionale”, ma irritato dalla violenza di chi, in queste settimane, ha “cercato di chiudere il microfono da cui sto parlando”. Una difesa della libertà d’espressione, dunque, che gli ha fatto dire “oggi, per questo, mi sento uno di voi”.
Non poco stupore per le polemiche dei giorni scorsi è stato espresso anche da molti relatori arrivati da varie nazioni: “Speriamo che da domani, dopo due settimane di attacchi preventivi, ora che il Congresso è iniziato davvero i vostri giornali dedichino lo stesso spazio ai contenuti che ne usciranno”, commenta l’ucraino Pavel Unguryan, direttore del “Forum delle Famiglie” locale, che sottolinea come l’85% dei suoi connazionali sostenga “la famiglia naturale costituita da padre, madre e figli, e le nostre radici cristiane”.
Nel salone affollato si sta trattando un tema cruciale, le ragioni di un ottimismo in un’Europa che la denatalità mette in ginocchio. In realtà le ragioni dell’ottimismo arrivano da lidi più lontani, con la brasiliana Elena Milskaya, direttore generale della “Fondazione San Basilio”, che dà l’esempio delle riforme già attuate in casa propria: “Per la prima volta il Brasile ha un ministero per le Donne e la Famiglia. Il che significa poi che le due realtà insieme concorrono ai diritti umani: la famiglia è il luogo in cui si riconosce l’alterità. Per il Brasile è un momento storico, tutte le parti oggi parlano alla famiglia, prima di varare una politica pubblica ci chiediamo sempre se questa sarà adeguata alla famiglia, se la aiuterà. Se la famiglia c’è ed è forte, nessuno è lasciato solo, il fragile ha una tutela, i problemi si risolvono. Il Brasile ufficialmente ha dichiarato anche all’Onu che proteggerà la vita dal suo concepimento, fino alla morte. Pensiamo anche agli anziani, quanti muoiono abbandonati negli ospedali? Le nostre società vivono una crisi d’amore a livello antropologico”. Non si tratta, dice, di relegare le donne al focolare, ma consentire con politiche intelligenti che la madre lavoratrice accudisca anche i figli, “che sono la priorità”. Cita a tal proposito la sua docente di Harvard, nota filosofa giuridica e madre di quattro figli: “A chi le chiedeva come mantenesse un equilibrio tra la famiglia e una carriera così alta rispondeva: non occorre equilibrio, la mia famiglia viene prima, il resto viene poi”.
Claudio D’Amico, membro del Comitato esecutivo del Congresso ed advisor nelle Attività strategiche internazionali per la Presidenza del consiglio dei ministri, lo ha appena detto: “Ho sentito in tivù che qui vogliamo chiudere la donna in casa. Io sono padre di due figli e per un anno sono rimasto ad accudirli perché mia moglie lavorava. Ma dare la possibilità alle donne che invece vogliono poter crescere i figli, grazie a politiche familiari di sostegno, è un dovere per l’Italia, ormai ridotta ai minimi termini perché qui non nasce più nessuno. Si può scegliere di sposarsi o convivere, di unirsi in chiesa o altrove, quelli poi sono fatti privati, ma per creare una famiglia e dare vita ai figli occorrono un uomo e una donna, da questo non si scappa”.
L’esempio, almeno da questo punto di vista, pare arrivi dall’Ungheria, anche se nelle parole del sottosegretario per la Famiglia, Attila Beneda, stonano parecchio gli accenti nazionalisti (come in quelli di qualche relatore russo): “Il tasso di natalità grazie alle ultime riforme è salito a 1,5%, significa che i governi possono agire attraverso azioni dirette. Ora dovremo arrivare al 2,5%, così la famiglia renderà forte e competitiva l’Ungheria”. Naturalmente l’obiettivo dovrà essere raggiunto “non attraverso l’immigrazione”, i nati devono essere purosangue ungheresi… Comunque i fatti ci sono, ad esempio i 30mila euro elargiti alle giovani coppie per comprarsi la casa, sgravi fiscali, 3.200 euro ai genitori con più di tre figli e via andare se i nati sono ancora più numerosi, oltre a 500 euro al mese per l’assistenza alla nascita…
Misure che suscitano l’invidia dell’auditorium italiano, rimasto al palo dopo 50 anni di promesse bipartisan, tutte sempre lettera morta (il quoziente familiare docet!). “Che male c’è se ci confrontiamo in un convegno pubblico, cercando di far circolare le soluzioni per la famiglia adottate da Paesi come la Francia, che hanno avuto grandi risultati?”, domanda allora Elena Donazzan, assessore veneto all’Istruzione, al Lavoro e alle Pari opportunità che per questo Congresso si è tanto battuta. E proprio del modello Veneto parla, “una regione che poggia sulla dottrina sociale della Chiesa, una terra laboriosa ma insieme molto cattolica, dove l’impresa si regge sui legami familiari e solo per questo ha saputo far fronte alla grande crisi e ai danni che qui le banche hanno causato”. Pluri invitata in trasmissioni televisive pre congresso, Donazzan è stata al centro di polemiche, “accusata perché ho citato le nostre radici, ma un albero vive di radici, gli italiani hanno alle spalle secoli di diritto romano, cultura classica, cristianesimo, come si fa a negarlo?”. In queste settimane, denuncia, “siamo stati processati senza prove né diritto di replica, ghigliottinati sulla piazza. Mi sono guardata dentro, che colpa c’è nel credere nella dimensione spirituale della vita? Il mondo è in trasformazione, ma ciò che non cambia è l’uomo, con le sue paure e le aspettative. Che male può esserci a dire che faremo tutto il possibile per far crescere ogni bambino in una famiglia unita e stabile? Chi può essere contrario a questo?”.
Non ha mezzi termini lo statunitense Allan Carlson, uno dei fondatori del Congresso Mondiale delle Famiglie: “L’Occidente più che andare a morire va a suicidarsi. L’impero romano declinò irrimediabilmente quando smise di fare figli. Si riprese con il cristianesimo, con il quale la nascita era un bene, l’aborto un peccato e le famiglie erano coese nell’amore. Oggi Stati Uniti ed Europa sono vittime di un fallimento demografico catastrofico” sostiene, anche se “le politiche europee si stanno liberando delle esperienze già finite male come quella svedese, che hanno minato la famiglia”.
Ancora fatti, questa volta dal centrista Luca Volonté: “In 50 anni i matrimoni sono dimezzati, i divorzi in aumento. Tutti gli studi dicono che più si aiuta la famiglia, più cresce il benessere di un Paese e il Pil sale”, Però se Inghilterra e Francia lo hanno capito da tempo e investono per la famiglia il 2,43%, così come Polonia e Ungheria, “l’Italia ha semmai fatto piccoli provvedimenti, ma mai ha introdotto misure stabili e sistemiche. È l’Eurostat, non la Chiesa, a dire che l’Europa ha un tasso di natalità drammatico e a invitare il nostro continente laico e civile a fare figli, perché perderemo milioni di lavoratori finendo in rovina. Persino dalla lontana Cina arriva il grido d’allarme, ‘liberiamo la fertilità per rimettere in moto l’economia e il benessere del Paese’. Invece nel dibattito italiano non possiamo osare mettere in agenda questo tema, altrimenti siamo medievali… Sono sbigottito per il futuro delle mie figlie”.
Eppure c’è chi continua a dare del “terrapiattista” a chi partecipa al congresso di Verona. Accusa che Eduard Asburgo Lothringen, nipote di Francesco Giuseppe e Sissi, padre di sei bambini, ambasciatore d’Ungheria alla Santa Sede, rimanda al mittente “Il Medioevo è un’epoca luminosissima – sorride – invito a leggere Tommaso d’Aquino: sapeva già benissimo che la Terra è sferica”.