Ansa
È «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia », e di «una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna», l’attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli. La regola, sancita dall’articolo 262 del Codice civile, non solo è fonte di «squilibrio» e «disparità tra i genitori», ma «sacrifica» anche il «diritto all’identità del minore», negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno. La Corte costituzionale richiama le sue stesse tante pronunce in materia che si sono susseguite nel tempo, sin dal 1970, nell’ordinanza (relatore il vicepresidente Giuliano Amato) con cui spiega perché ha deciso di mettere sotto la propria lente di ingrandimento la legittimità costituzionale della automatica acquisizione da parte dei figli del cognome del padre.
E di andare così alla radice del problema, rispetto alla richiesta più limitata che le aveva fatto il tribunale di Bolzano: dichiarare incostituzionale la norma solo in quanto non consente, in caso di accordo tra i genitori, di trasmettere ai figli esclusivamente il cognome materno. Se si seguisse l’impostazione dei giudici di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l’accordo dovrebbe essere ribadita la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno, è stato il ragionamento della Corte costituzionale. E poiché si tratta dei casi verosimilmente più frequenti, si finirebbe con il riconfermare la prevalenza del patronimico, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell’uguaglianza è stata riconosciuta, ormai da tempo, dai giudici della Consulta, che più volte hanno invitato il legislatore a intervenire.
Nel 2016, con un’altra sentenza firmata sempre da Giuliano Amato, la Corte definì, «indifferibile» l’intervento del legislatore per riformare in maniera organica «secondo criteri finalmente consoni al principio di parità» la questione del cognome da attribuire ai figli. «Ma tutti gli inviti sinora rivolti al Parlamento - notano i togati di piazza del Quirinale – non hanno avuto séguito». Di qui la decisione di intervenire per valutare se sia conforme agli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione la norma che »in mancanza di accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori. Nessuna invasione di campo, perchè, spiega la Corte, «l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve comunque prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore».