Dispiace. Di più, addolora. Addolora e sconcerta la presa di posizione di Matteo Salvini alle considerazioni di don Luigi Ciotti inerenti la costruzione del ponte sullo Stretto. Don Luigi ha espresso, a riguardo, una preoccupazione che è di tanti – discutibile, confutabile – Salvini, al contrario, ha sentito il bisogno di offendere l’uomo. Inutilmente. Inopportunamente.
Chi sia don Luigi Ciotti lo sanno tutti, in Italia e all’estero. Che cosa abbia rappresentato per la lotta alle mafie, per i familiari delle vittime innocenti, per l’educazione alla legalità è testimoniato da decine di associazioni, migliaia di persone, semplici cittadini, magistrati, professionisti, politici, giornalisti, parlamentari. Don Ciotti può essere studiato da tanti punti di vista, tutti giusti, ma tutti parziali, perché egli è, innanzitutto e soprattutto, un prete. Un prete, costretto a vivere sotto scorta, perché ha preso terribilmente sul serio il comandamento di Gesù di amare il prossimo, concretamente, sporcandosi le mani, là dove si trova, nelle condizioni in cui si trova, correndo il rischio di essere insultato, vilipeso, ucciso. Per liberarlo dai legacci insidiosi che lo tengono prigioniero, rimetterlo in piedi, aiutarlo a essere libero.
Don Ciotti ha sentito di essere chiamato ad accendere un faro sulla schiavitù che ha tenuto e ancora tiene prigioniero il nostro Sud, prima di estendersi al di là del Tevere, dell’Oceano, delle Alpi. La sua è una voce limpida e profetica. Le mafie sono asfissianti, velenose, contagiose. Viste da lontano possono apparire solo come un fenomeno, parassitario, sanguinario – uno dei tanti – da combattere con più o meno severità. Le mafie, però, non sono entità astratte, dietro ci sono i mafiosi, uomini e donne, in carne e ossa, con nome, figli, clan, cosche, armi, alleanze, interessi.
Per conoscere qualcosa delle mafie devi avere il coraggio di sentirne il puzzo, vincere la paura, addentrarti nei meandri dei vicoli, dei quartieri, delle città. Per conoscere i mafiosi devi, se e quando è possibile, avvicinarli, discutere con loro, con le loro vittime, con i vicini di casa, con i politici di riferimento, collusi e corrotti, e con quelli che li combattono. Devi raggiungerli in carcere, seguirne i processi, passare le notti sulle carte da studiare. Per capire devi andare a ritroso, arrivare alle origini, chiederti come e perché abbiano attecchito e proliferato al Sud. Ora, che le mafie e i mafiosi abbiano una predilezione e un fiuto particolare per i fiumi di denaro stanziati per le grandi opere pubbliche, non è un segreto per nessuno, a negarlo si rischia il ridicolo. Sorvolo, quindi, su cose che fanno parte della storia del nostro Paese. Che alle mafie ora faccia gola il progetto del ponte sullo Stretto non è un dubbio peregrino.
Don Ciotti lo ha detto. Ci ha messo in guardia. Ne aveva il diritto, ne sentiva il dovere. Lui non è, non vuole, non può essere un politico. È un prete. Non ha interessi di parte. Non ha da organizzare la prossima campagna elettorale. Non ha da sistemare i figli. Sente solo la responsabilità di mettere a disposizione l’immenso patrimonio accumulato in questi lunghi anni di lotta alle mafie. Lo ha fatto, come nel suo stile, nella più totale parresia.
A Matteo Salvini non è piaciuto quello che detto? Nessun problema, è suo diritto. Da argomentare, certo. Le idee vengono espresse per essere discusse, accolte, migliorate, confutate, rigettate. Si chiama democrazia. Perché, dunque, ha voluto fare ricorso all’offesa gratuita e bugiarda? Le parole di don Ciotti e la riposta di Salvini le troverete altrove.
Io, prete del Sud- facendomi voce di tanti miei confratelli - voglio esprimere a don Ciotti la mia grande riconoscenza per avermi fatto comprendere che i lacci delle mafie sono radicati e difficili da recidere, ma non impossibile. Le mafie possono essere sconfitte. Per farlo, però, in campo devono scendere tutti, ma proprio tutti. Anche, e forse soprattutto, i preti. Compreso me. Grazie, don Luigi.