venerdì 6 dicembre 2019
Un'idea che trova più consensi tra operai (62%), persone meno istruite (62%) e con redditi bassi (56,4%) e che viene spiegata dal Censis con "l'inefficacia della politica ed estraneità da essa"
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Stretti tra l'incertezza e il desiderio che arrivi un uomo forte che cambi le sorti del Paese (e proprie). Gli italiani, che negli anni della crisi si sono chiusi nell'individualismo cercando soluzioni "fai da te" ai propri bisogni, in questi anni di ansia per il futuro tuttavia hanno messo su delle "piastre di sostegno" (ne sono esempi la ritrovata vocazione manifatturiera o la emergente cultura della tutela ambientale) e più singolarmente dei "muretti di pietra a secco" (come incubatori di impresa, nicchie tecnologicche, festival per stare insieme) per contenere il terreno del benessere che franava.

La fotografia scattata dall'annuale rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, giunto alla 53esima edizione, presentato stamane a Roma, racconta di un'Italia variegata che comunque spera ancora nell'Europa e nell'uomo politico nel senso più nobile del termine.

Un italiano su due (48,2%), infatti, pensa che ci vorrebbe un "uomo forte al potere" che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni". Un'idea che trova più consensi tra operai (62%), persone meno istruite (62%) e con redditi bassi (56,4%) e che viene spiegata dal Censis con "l'inefficacia della politica ed estraneità da essa", elementi che "aprono la strada a disponibilità che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l'attesa messianica dell'uomo forte che tutto risolve".

Quel che è anche vero, è che lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza, con un logoramento sfociato da una parte in stratagemmi individuali di autodifesa e dall’altra in "crescenti pulsioni antidemocratiche". Ecco perché il 69,8% è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati e per il 58% è aumentato anche l’antisemitismo. Secondo il rapporto, inoltre, l’aumento dell’ occupazione nel 2018 e nei primi mesi del 2019 è un "bluff" che non produce reddito e crescita. Una cosa a cui invece gli italiani non rinunciano è alle proprie passioni (la metà della spesa familiare è appunto impegnata per coltivare hobby) come pure al telefonino, che ormai ha monopolizzato la vita quotidiana. Oltre il 50% delle persone difatti controlla lo smartphone come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire.

"Alla crisi economica c’e’ stata una risposta individuale, lo sforzo degli italiani nel mettere in campo forme di reazione come il viver bene individuale non basta. Serve anche il ’viver bene’ collettivo. Non bastano dunque i singoli, ma serve una risposta collettiva", spiega il segretario generale del Censis Giorgio De Rita, aggiungendo che "l’errore della politica è stato quello di non essere stata capace di decidere, ovvero di aver deciso sapendo che quelle decisioni non produrranno effetti".

Gli aspetti considerati dal Rapporto sono tanti. Eccone alcuni qui di seguito.

No al ritorno alla lira

Il 61,3% degli italiani dice 'no' al ritorno alla lira, che segnerebbe la fine della moneta unica (i favorevoli sono il 23,9%), e il 61,7% è convinto che non si debba uscire dall'Unione europea tornando alla piena sovranità nazionale (mentre è favorevole il 25%).

Il 23,7% degli italiani riconduce la causa del rancore diffuso di questi anni alla crescente disuguaglianza nei redditi e nelle opportunità di lavoro e il 25% individua in una giustizia troppo favorevole nei confronti dei ricchi, dei privilegiati e dei più spregiudicati un altro elemento che giustifica il risentimento.

Ripresa senza salario

La "ripresa senza salario", infatti, annota nel tradizionale Rapporto, "caratterizza ancora l'andamento economico dell'Unione europea". Tra il 2013 e il 2018 infatti si è ampliata la forbice tra la crescita del Pil e la crescita dei salari reali. Nel 2017 la distanza era di 2,2 punti, nel 2018 a un incremento del Pil del 2% ha corrisposto un aumento dei salari pari allo 0,7%. Il 12,2% degli occupati in Italia è a rischio povertà, non sorprende quindi che 3 italiani su 4 siano favorevoli all'introduzione del salario minimo per legge. La percentuale è più alta tra gli occupati (75,3%) e tra chi dispone di un reddito basso (l'80,7% con un reddito fino a 15.000 euro annui) o medio-basso (il 78,7% con un reddito compreso tra 15.000 e 30.000 euro annui).

Difficile ritorno alla crescita

Ma anche per i professionisti è difficile un ritorno alla crescita. Tra il 2013 e il 2017 i redditi medi annui dei liberi professionisti si sono ridotti in termini reali del 2,9%, passando da 34.678 euro in media a 34.022 euro, con una perdita di 656 euro. Del tutto diversa è invece la situazione dei professionisti dipendenti (iscritti alle Casse previdenziali delle professioni), che guadagnano in termini nominali circa 5.000 euro all'anno nel periodo considerato (+7%). Il gap di genere appare ancora netto, dice ancora il Censis: la differenza di reddito tra i professionisti uomini e le donne è di circa 15.000 euro (si posizionano rispettivamente al 122% e al 78% del reddito medio). La distanza tra il reddito medio e quello di un professionista con meno di trent'anni si avvicina a 21.000 euro. La differenza tra un professionista del Nord e uno del Mezzogiorno supera i 14.000 euro a favore del primo.

Rassegnati alla burocrazia

E ad aggiungere peso su peso ci pensa la burocrazia a cui gli italiani appaiono assolutamente rassegnati. Se tra il 2017 e il 2019 aumenta di 10 punti percentuali la quota dei giudizi positivi sulla Pa aumenta anche quella per i quali c'è un eccesso di burocrazia, troppi adempimenti, autorizzazioni e controlli che intralciano il rapporto tra cittadini e amministrazione (secondo il 33,2%, 10 punti in più rispetto al 2017).

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