domenica 23 giugno 2024
I minori, figli di braccianti, vengono chiamati nei periodi di picco per la raccolta degli ortaggi. Anche loro sono pagati 3-4 euro l’ora come i genitori
La manifestazione anti-caporalato dopo la morte di Satnam Singh, a Latina

La manifestazione anti-caporalato dopo la morte di Satnam Singh, a Latina - ANSA

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Desideravano tanto avere un figlio Satnam Singh e la moglie Sony, 24 anni; agli amici ripetevano che, non appena fosse arrivata la regolarizzazione per una pratica che aspettavano però di poter avviare da 3 anni, appena giunti in Italia, lo avrebbero messo al mondo. Sperando in un “mondo” diverso” da quello dei campi dell’Agro Pontino, dove i figli dei connazionali e di tanti altri immigrati, soprattutto asiatici, spesso sono costretti a lavorare come schiavi anche loro per 10 ore al giorno, come i genitori, a raccogliere angurie in estate e ortaggi vari sotto le serre infuocate nel resto dell’anno; anche loro, come i genitori, per 3-4 euro l’ora.

I minori vengono reclutati soprattutto nei fine settimana, forse perché al lunedì c’è da rifornire magazzini e depositi alimentari di prodotti freschi; la maggior parte ha attorno ai 12-15 anni, età che i caporali – spesso loro connazionali – ritengono sufficiente perché inizino a spezzarsi la schiena inginocchiati tra pomodori e fagiolini da raccogliere. E se non ce la fanno, qualcuno tra i più grandi è pronto ad allungare delle pasticche, magari durante l’unica pausa lavorativa della giornata, che in genere dura non più di 30-40 minuti.

Sono arrivati piccini in Italia, ma a casa parlano la lingua del Paese d’origine e i caporali insegnano loro giusto qualche parola di italiano per rispondere, o per meglio dire obbedire, ai “datori” di lavoro. E le prime parole che sono costretti a imparare sono “carabinieri” e “polizia”: quando le sentono, sanno che devono scappare subito e tornare a casa, anche se poi molti di loro di fatto vivono in baracche malridotte che i caporali allestiscono non lontano dai campi.

È una piaga antica quella dello sfruttamento dei minori nei campi attorno alla città di Latina: già dieci anni fa la prima denuncia circostanziata arrivò dall’associazione “In migrazione”; qualcosina si è poi mosso con i controlli delle forze di polizia e dell’ispettorato del lavoro, relative denunce degli sfruttatori ma processi ancora in corso davanti al tribunale del capoluogo pontino.

Poi l’anno scorso è arrivato il rapporto Save the Children, dal titolo “Piccoli schiavi invisibili”, che ha aggiunto altri aspetti, se possibile ancor più pesanti, relativi alla condizione di questi bambini. Bambini schiavi ma anche bambini fantasma, perché non possono usufruire di niente, dalla scuola all’assistenza pediatrica, se non ovviamente per le urgenze sanitarie, soprattutto per via della mancata regolarizzazione dei genitori.

E anche il rapporto Save the Children, un anno fa, ne parlava. In questo lasso di tempo poco o nulla è cambiato, anzi. Anche l’associazionismo cattolico non riesce granché ad intercettare ed eventualmente a coinvolgere con proposte educative o ricreative questi bambini e ragazzi, proprio per la pochezza di contatti con i coetanei italiani. Anche sui campetti da calcio a malapena se ne vedono.

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