La tensione e le spaccature dentro il suo partito Pier Luigi Bersani non le regge. Non alla vigilia del giorno fatidico del confronto con i partiti, a lungo rinviato. Prima il chiarimento con Matteo Renzi, poi il tentativo di placare le ansie di chi non vuole andare al voto ed è pronto ad accordarsi con il Pdl, poi ancora le preoccupazioni di chi non accetta subordinate e – in caso di fallimento – vede solo un ritorno alle urne (solo i "Giovani turchi", a dire il vero). E allora il segretario del Pd convoca una Direzione a fine giornata e cerca una sintesi, che va oltre il mandato ottenuto dal "parlamentino" democratico qualche giorno fa, ma non snatura i termini dell’accordo possibile che oggi chiederà a Pdl e Scelta Civica e domani a Grillo. «Noi non chiediamo a nessuno l’impossibile», scandisce Bersani, stanco e determinato davanti ai suoi, pronti a sostenerlo. Di fatto nessuna trattativa viene ufficialmente intavolata, ma la partita si gioca su più fronti e il leader pd sa quanto sia importante un accordo sul Quirinale, che può coinvolgere anche Silvio Berlusconi, al quale viene offerta anche la presidenza per i suoi della commissione bicamerale per le riforme, che potrebbe nascere a breve.Nessuno scambio, spiega il leader del Pd, per quello che riconosce essere «il governo dei miracoli». «Non mescoliamo temi ultronei». Ma la crisi è drammatica e «ci vuole corresponsabilità vera di tutte le forze politiche sulle riforme costituzionali e per il cambio della legge elettorale. Riforme che devono essere esigibili: si dovrà sapere chi le vuole fare e chi non le vuole fare». Ma il problema si misura in numeri e sono quelli che giovedì il segretario democratico deve portare al Quirinale. «Chiederemo a Scelta civica di avere un’intesa e alle altre forze che hanno minore responsabilità di non impedire questa soluzione», ragiona. «Oggi dire governabilità vuol dire non mettere un coperchio sull’esigenza di cambiamento, serve un governo che abbia la possibilità di agire senza paralizzarsi e serve una corresponsabilità vera di tutte le forze politiche perché si abbia un percorso certo di riforme». Ma non è Monti a poter risolvere i problemi del segretario del Pd. «Chiediamo a Pdl e Lega di uscire da ambiti che sono un cascame della campagna elettorale; e chiediamo a M5S in un momento decisivo per il Paese se vogliono essere una comunità segregata o una forza politica che si prende qualche responsabilità, nei limiti in cui può prenderserla. Per il Paese». E qui l’immagine che si è fatto il presidente incaricato dopo i colloqui con le parti sociali è terribile. «Veramente, nonostante fossimo persone informate dei fatti», si è visto un «Paese veramente nei guai». E già nei prossimi mesi «arrivano l’Imu, l’Iva, la Tares e non ci sono gli ammortizzatori».Insomma, il governo, lo ha detto bene il capo dello Stato, va fatto e in fretta. Ma, prosegue il ragionamento il vicesegretario Enrico Letta, «qualunque tentativo dopo questo è un tentativo peggiore per l’Italia e per il Pd». Vale a dire che, dopo Bersani, qualunque soluzione non vedrà più il Pd protagonista. Né si può tornare al voto con questa legge elettorale. Il messaggio è tutto interno. «Questa responsabilità chiama in causa il Pd» ma «quello che è sicuro è che senza unità del Pd questo tentativo è impossibile, quindi lo sforzo è anche sulle nostre spalle».Perciò bando ai mal di pancia e avanti con le trattative. Come per i presidenti delle Camere si «è cercata» una condivisione, «la stessa cosa faremo sul presidente della Repubblica», continua Letta. Nessuno scambio o accordicchio, tra governo e Quirinale: «i due livelli non sono minimamente scambiabili», concorda il vice con Bersani. Piuttosto esistono «tante tecniche parlamentari creative, ma noi vogliamo ci sia scelta e ognuno prenda la sua responsabilità», per non trovarsi a piedi dopo qualche giorno.Il partito concorda e anche Renzi, che si tiene distante, conferma «che i rapporti con Bersani sono ottimi». Nessuna polemica, conferma Bersani, per l’assenza dalla Direzione: «Abbiamo altri modi di parlare».