venerdì 23 agosto 2013
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Silvio Berlusconi non arretra. «Nessuno può togliermi il diritto di guidare il movimento che ho fondato». «Diranno che è colpa mia se i ministri del Pdl valuteranno le dimissioni davanti al massacro giudiziario del loro leader eletto da milioni di italiani. Ma io mi domando: se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda?».Tutto sommato, però, toni più sfumati, meno ultimativi di quelli che qui a Rimini era venuto a portare, a nome del Cavaliere, Renato Schifani, arrivando a tirare in ballo il Quirinale («Ci aspettavamo di più»). Angelino Alfano, che a Rimini ci viene invece da invitato ufficiale sul tema delle carceri, una delle poche cose che dice sull’argomento più scottante del momento è riferito proprio al ruolo del Colle: «Il Quirinale sulla questione della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi non c’entra nulla». Il messaggio dunque è ancora una volta al Pd: «Il Pdl e il suo leader da due anni sostengono governi che non sono da noi presieduti. È un atto di generosità e di grande amore per l’Italia che sarebbe un peccato disperdere». Un’esortazione, sembrerebbe, quella di Alfano, più che una minaccia, nell’unica digressione dal palco sul tema. Gli viene chiesta una previsione: «Come dice quella canzone, lo scopriremo solo vivendo». Alfano è reduce dal vertice con Letta, e si accinge, una volta lasciata Rimini, a recarsi ad Arcore dove in serata incontrerà Berlusconi per riferirgli dell’incontro con il premier del giorno precedente. Che il ministro dell’Interno, e segretario del Pdl, racconta come una «discussione molto netta e molto chiara. Il Pdl non chiede al Pd un voto in favore di Berlusconi, ma con altrettanta forza dico che il Pd non deve dare un voto contra personam, contro il loro nemico storico. Noi chiediamo che sul tema della decadenza, in giunta per le elezioni al Senato, il Pd approfondisca la questione giuridica», conclude Alfano. L’impressione è che il dibattito sul piano giuridico non decolli e non si intravedano spiragli neanche sui rilievi di incostituzionalità. Tutt’al più ci sono gli spazi per allungare i tempi di riflessione in giunta in modo da non far deflagrare lo scontro, auspicando che nel frattempo i legali del Cavaliere possano strappare condizioni di espiazione non troppo penalizzanti. E lo stesso Berlusconi sembra fornire una via d’uscita nell’intervista a Tempi, visto che un leader politico resta tale anche se decade da parlamentare. «Possono farmi tutto, ma non possono togliermi tre cose. Il diritto di parola sulla scena pubblica e civile italiana. Il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato. Togliermi il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani, finché questi cittadini liberamente lo vorranno», dice il Cavaliere. La speranza, però, è ancora che su una «sentenza infondata, ingiusta, addirittura incredibile» si riesca ad intervenire. «La Costituzione della Repubblica e il buon senso offrono molte strade», dice Berlusconi. E trova anche modo di ironizzare sulla formula talvolta usata nei suoi confronti dai magistrati: «Non possono non saperlo», chiosa aggiungendo che «vale per tutti gli attori politici e istituzionali». Berlusconi cioè durante il suo lungo ritiro in quel di Arcore pensa ancora, forse più che nel suo partito, che le strade suggerite per una via d’uscita possono incrociare quella che porta al Colle, ma anche quella diretta al palazzo che peraltro è adiacente: la Consulta. Ossia quella Alta Corte che, nelle sue intenzioni, dovrebbe essere chiamata a una interpretazione autentica della controversa "legge Severino".Amarezza e rabbia sono ancora i sentimenti che prevalgono, tuttavia. Ma il fatto è - ha rilanciato l’ex premier - che «è in gioco molto più che il destino di una persona: se si trattasse solo di questo, allora sarebbe un problema solo per me. Siamo all’epilogo di quella guerra dei vent’anni che i magistrati di sinistra hanno condotto contro di me, considerato l’ostacolo da eliminare per garantire alla sinistra la presa definitiva del potere».Quando Alfano raggiunge Berlusconi ad Arcore, intorno alle 20, la chiusura del Pd è chiara, dopo un’altra giornata di repliche al vetriolo. «Alle minacce e agli ultimatum basta rispondere con un principio molto semplice: non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo, mai», era stato il duro avvertimento del ministro dei Rapporti col Parlamento Dario Franceschini. Il Pdl «si assuma le proprie responsabilità  - era intervenuto il responsabile organizzativo del Pd Davide Zoggia - e la smetta con i ricatti e le indegne furbizie. Non scarichi sul Pd il problema-Berlusconi condannato con sentenza definitiva per un fatto grave». «Il Pd non può che votare a favore della decadenza», dice a Rimini in serata anche un altro ministro del Pd, Graziano Delrio. Berlusconi si sente stretto in un angolo, aver sposato le ragioni dei falchi per tutta la settimana non ha prodotto effetti, e una strategia alternativa non si trova. Per ora, col silenzio assoluto anche del Quirinale, prendere tempo sembra l’unica strada percorribile.
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