venerdì 20 maggio 2011
Due tunisine sono a Lampedusa dopo aver girato altri centri di accoglienza italiani per cercare tre congiunti tra i 25 e i 32 anni. I tre sarebbero partiti da Biserta, in Tunisia, su un barcone il 28 aprile scorso. Sul natante erano in 31 e del gruppo si sono perse le tracce dalla notte della partenza.
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Due donne tunisine, una sposata con un italiano e residente a Roma, Wafa Meyri, 30 anni, e Ilgya Mechroni, 60 anni, sono a Lampedusa dopo aver girato altri centri di accoglienza italiani per cercare alcuni congiunti: la prima, il fatello Bechir, 25 anni, la seconda, i figli Anis, 31 anni, e Nissen di 32. I tre sarebbero partiti da Biserta, in Tunisia, su un barcone il 28 aprile scorso. Sul natante erano in 31 e del gruppo si sono perse le tracce dalla notte della partenza. Le donne mostrano le foto dei congiunti alla polizia e agli operatori del Centro d'accoglienza. Nessuno sembra però riconoscere i volti degli scomparsi.IL GIALLO DEL BARCONE SCOMPARSOL'ultima chiamata arriva nel cuore della notte. È l'una del 29 aprile. Wafa Mejry, tunisina che da un anno e mezzo vive a Roma con il marito italiano, parla con suo fratello, Besir, 24 anni. Il ragazzo ha deciso di partire per l'Italia. È già sul barcone che sta per salpare da Biserta, sulle coste della Tunisia, e che su una fiancata porta anche scritto il nome: Sabra. "È tutto a posto, fra poco arriverò - dice alla sorella - In 24 ore sarò in Sicilia". Ma di Besir e degli altri trenta che sarebbero saliti a bordo delSabra non si sa più nulla. Nessun avvistamento, nessun soccorso. Inghiottiti durante la traversata nel Mediterraneo.Sono i familiari ad avvertire le autorità italiane del barcone disperso; per cercare il fratello, Wafa Mejry ha girato tutti i centri d'accoglienza siciliani. Fino ad arrivare questa mattina a Lampedusa e poi a Palermo, per parlare con il console tunisino, assieme a una madre disperata: Aljia Mecherguy, 60anni. In quel barcone c'erano anche i suoi due figli, Anis di 32 anni e Wissem di 22. Non si dà pace Aljia che sperava di riunire la sua famiglia a Roma, dove vive da 22 anni dopo la morte del marito in un incidente in Francia. "Aiutatemi a trovare i miei figli - riesce a dire tra le lacrime - Non possono essere morti, la barca era nuova e il tempo era buono".I due fratelli non riuscivano a trovare lavoro. La scorsa estate Anis aveva fatto il sommozzatore, ma dopo tre mesi nessuno stipendio. E allora ha deciso di tentare la sorte e raggiungere la madre con Wissen, lasciando in Tunisia la moglie e il figlio di un mese. A Roma avrebbero ritrovato anche le duesorelle e un fratello. Così Anis ha venduto tutti i mobili ed è partito assieme al fratello pagando tre milioni di dinari, circa 1.500 euro in due, a Abde Rahim Noulou, "il capitano". Era lui ai comandi della barca scomparsa. Il "rais" tentava la traversata per la quarta volta nel giro di poche settimane. Sarebbe stata l'ultima, o almeno così aveva detto alla moglie che aveva promesso di raggiungere in Francia. Ma anche del capitano non si sa nulla. Domani la moglie sarà a Lampedusa percercarlo. "La donna ci ha detto - racconta Wafa - che, secondo alcune informazioni, alcuni dei 31 dispersi sarebbero a Lampedusa, ma noi non abbiamo trovato nessuno". Come le protagoniste di una tragedia greca Wafa e Aljia girano da quasi un mese con le foto dei loro congiunti in mano: sono andate a Trapani, a Marsala, a Lampedusa, a Palermo. Il console tunisino ha detto che bisognerà aspettare martedì prossimo per avere la lista degli arrivi dopo il 29 aprile. "Ilquestore di Roma non è riuscito ad aiutarci - dice Wafa - ha cercato e ricercato i loro nomi e le loro foto nell'elenco degli arrivi. Sembrano scomparsi nel nulla". La madre di Wafa, che vive nel sud della Tunisia assieme al marito e ad altri quattro figli, non voleva che Besir partisse. Ma il ragazzo è ostinato, va al mare e comincia a nuotare per ore per essere pronto in caso succeda un naufragio. "Qualche giorno prima di partire mi ha chiamato - spiega Wafa - e mi hadetto che era riuscito a nuotare per sei ore consecutive. 'Adesso parto - ha detto alla sorella - e se mi rimandano in Tunisia mi ammazzò". L'imbarcazione forse doveva fare rotta su Pantelleria piuttosto che su Lampedusa. In questo modo, i tunisini speravano di non essere rispediti in patria. L'ultima speranza, alla quale si aggrappano le due donne, è che siano arrivati nella notte proprio  sulle coste trapanesi, facendo poi perdere le proprie tracce. "Ma ogni giorno che passa è una pietra sul cuore", ripete Aljia senza riuscire a trattenere le lacrime.
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