Il conto della crisi lo pagano i minori. Nell’Italia al quinto anno di recessione i bambini impoveriti sono aumentati del 46%, se possibile peggio ancora della crescita – già alta – del 41% in più di adulti che non arrivano a fine mese. In cifre, almeno un milione e 200 mila under 18 sono considerati in povertà assoluta nel Belpaese. Erano 700 mila prima della crisi. Un’esclusione da alimentazione, istruzione e servizi che mette a rischio il futuro di una generazione, soprattutto nel Mezzogiorno. L’allarme è stato rilanciato ieri a Padova dalla Fondazione Zancan, che per celebrare mezzo secolo di attività di formazione e lotta all’indigenza, ha organizzato un convegno internazionale di due giorni dedicato alle difficoltà della fascia più vulnerabile, quella infantile. Monsignor Giuseppe Pasini, già direttore della Caritas italiana, presiede la Fondazione guidata per anni da don Giovanni Nervo, il papà del volontariato italiano. «Un bambino su quattro è povero – spiega Pasini – e negli ultimi due anni è quasi raddoppiata la povertà assoluta. Significa che mancano le condizioni minimali per una vita dignitosa. In presenza di famiglie con figli la povertà tende poi ad aumentare, quindi i bambini sono le prime vittime, i più deboli perché senza voce. Bisogna che governo ed enti locali mettano al primo posto la lotta alla disoccupazione. I giovani senza reddito che mangiano alle mense Caritas oggi sono cresciuti del 20%, la loro prospettiva è una vita di stenti e una pensione da poveri». Tirando le somme, in Italia il rischio povertà o esclusione per i bambini fino a sei anni (quasi il 29%) è superiore di oltre tre punti rispetto alla media Ue (25,1). Siamo quinti, ma dopo le nuove entrate dell’Est come Bulgaria, Romania, Ungheria e Lettonia, mentre i nostri competitori del passato – Regno Unito, Francia, Germania – sono su un altro pianeta. Lo dimostrano due dati: «L’impatto dei trasferimenti sociali in termini di riduzione del rischio povertà infantile – aggiunge la ricercatrice della Zancan Cinzia Canali – è inefficace, vale la metà rispetto alla media Ue e i servizi per l’infanzia, come gli asili nido e le tagesmutter sono ancora limitati e diffusi perlopiù al Nord. Anche la spesa per la protezione sociale di famiglie con bambini è bassa, in Italia vale l’1,3 % del pil un punto secco in meno rispetto al 2,3% dell’Ue».La proposta della Fondazione non è più spesa sociale e assistenzialismo, ma welfare generativo.«È un approccio diverso – sostiene il sociologo Tiziano Vecchiato, direttore della Zancan – che deve portare le istituzioni a valutare la spesa sociale come un investimento in termini di socialità, inclusione ed economicità. Un cassintegrato o una persona aiutata da una parrocchia sono persone a cui si può chiedere cosa fanno per risolvere i propri problemi, In Veneto negli ultimi 5 anni sono state autorizzate 335 milioni in ore di cassa integrazione. Cosa avrebbero generato queste ore se spese a favore delle comunità? Se dei 6,5 miliardi di assegni famigliari ne destinassimo 1,5 alla prima infanzia, raddoppieremmo l’occupazione, porteremmo gli accessi ai nidi dal 12 al 47%, 42 mila famiglie troverebbero lavoro e infine lo Stato e gli enti locali avrebbero un ritorno fiscale di 6-700 milioni». I primi esempi di welfare generativo si stanno diffondendo a macchia di leopardo. In molti Comuni stanno prendendo piede le famiglie che aiutano altre famiglie impoverite dell’associazione torinese Paideia, A Napoli c’è l’unico caso sotto Roma di servizio educativo per giovani tra i 15 e i 30 anni con alle spalle storie di forte disagio famigliare o con disabilità lievi è quello della cooperativa sociale Orsa. Fondata nel 1995 da un gruppo di sole donne, nel 2010 ha ricevuto dal Comune un bene confiscato al boss camorrista Michele Zaza«È una villa con vista sul golfo – racconta Angelica Viola, responsabile della cooperativa che con vari progetti ha un’attenzione particolare alle fasce fragili dell società napoletana – dove teniamo corsi per 90 persone, una ventina minorenni, che hanno avuto traiettorie sfavorevoli fin dalla prima infanzia. Vittime di abusi o maltrattamenti passati da comunità e che hanno conosciuto il fallimento di adozioni o affidi, ad esempio. In questo centro polivalente diurno proponiamo attività che rafforzano l’autonomia, dal laboratorio ambientale a quelli di cucina e informatica. L’obiettivo è metterli in condizione di vivere relazioni attive e uscire dall’isolamento. Fondamentale è l’alleanza con il Comune e le imprese». Perché se la bellezza è il nostro petrolio, per passare questa crisi occorrerà scoprire e valorizzare anche i giacimenti nascosti della solidarietà locale.