martedì 15 giugno 2021
In Friuli l’educazione degli adulti alle tecnologie diventa compito dei pediatri. Ecco come si sono messi in rete, i materiali che utilizzano e perché l'idea dovrebbe fare scuola in tutto il Paese
Bambini e smartphone: adesso ci sono i “custodi digitali”
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Mamme che allattano chattando, o addirittura in videocall. Seggioloni piazzati davanti al tablet, o alla televisione, «perché almeno il piccolo mangia la pappa senza strillare». Libri dimenticati in soffitta, «c’è lo smartphone che manda in onda un video dietro l’altro finché non si addormenta». E – guarda un po’ – il bimbo non vuol saperne di addormentarsi perché i video continuano, le immagini si moltiplicano, l’attenzione è a mille. Il problema dell’iperconnessione non riguarda più soltanto gli adolescenti, che tra i 13 e i 17 anni durante l’anno della pandemia (complice la Dad) nel 97% dei casi hanno passato dalle 5 alle 6 ore davanti a uno schermo. Anche piccoli e piccolissimi ne sono sempre più coinvolti, complici la cattiva – cattivissima – educazione digitale dei genitori. Spesso convinti (lo pensano in 3 su 10) che la tecnologia sia fondamentale per«tenerli buoni».

«Abbiamo iniziato a dare peso a quel che sta accadendo quando, confrontandoci tra colleghi, sentivamo ripetere sempre lo stesso racconto» spiega Franca Ruta, pediatra di famiglia nel distretto delle Dolomiti friulane. Mamme e papà arrivano in studio, cioè, e il bambino comincia a piangere: «Loro che fanno? Tirano fuori il cellulare». Peccato che i pediatri, con l’educazione digitale, non c’entrino nulla: ai genitori si può suggerire di non comportarsi a quel modo, ma in studio si arriva per una visita di controllo o perché s’è presentata una patologia acuta e serve la prescrizione per una medicina. Almeno fino ad ora, visto che da quel semplice confronto tra colleghi, in Friuli, è nato un progetto innovativo che ora ambisce a far scuola in tutta Italia. Si chiama “Custodi digitali” e il perno ne sono proprio i pediatri: una rete ramificatissima di specialisti che sul territorio incontrano ogni giorno migliaia di famiglia, rappresentando per queste ultime punti di riferimento fondamentali.

Risorse sprecate, a guardarle dal punto di vista dell’Associazione Media Educazione Comunità (Mec), nata dal desiderio di un gruppo di educatori, formatori ed esperti di media di promuovere percorsi di consapevolezza critica sui media. «Perché se è vero che i pediatri sono figure di riferimento per i genitori – spiega Marco Grollo, anima del progetto – e se è vero che ne incontrano così tanti, e così spesso nell’arco della crescita dei bambini, allora è proprio nello studio dei pediatri che può e deve essere vinta la sfida dell’educazione digitale». Ai medici, però, servivano strumenti ed è qui che è entrata in gioco la collaborazione di tutto il territorio friulano: asili e scuole, servizi sociali e soprattutto il Tavolo educativo Don Milani, che dal 2017 opera nel territorio delle Valli e Dolomiti friulane grazie all’impegno del don-psicologo Dario Donei proprio nell’ambito delle sfide educative e dell’attenzione ai più piccoli. Un gruppo di lavoro variegato ed entusiasta ha cominciato a lavorare su questionari da mandare alle famiglie (oltre 600 quelle coinvolte), poi su schede ad hoc, pensate per le diverse fasce d’età: ne sono state individuate 6 (0-6 mesi, 6-12, 12-36, 3-6anni, 6-11 e 11-14) e per ognuna di esse sono stati costruiti percorsi, consigli, raccomandazioni, spunti di riflessione e soprattutto strumenti adatti, dalle app ai videogiochi.

È con queste schede – già scaricabili dal sito in costruzione https://custodidigitali.site/ – che lavorano i pediatri, proponendole ai genitori alle diverse visite filtro (quelle che tecnicamente si chiamano “bilanci disalute”, 5 nel primo anno di vita del bambino, poi 2 all’anno fino ai 14) e condividendone i contenuti: «Ai genitori di bimbi appena nati, per esempio, spieghiamo il valore dell’allattamento – continua la Ruta –: lo scambio di sguardi tra madre e bambino è fondamentale nello sviluppo, il telefono non deve esistere in quel momento. Così come, tra i 6 e i 12 mesi, telefoni e televisione devono essere banditi dal pasto: i piccoli devono imparare ad apprezzare e conoscere il cibo, non ignorarlo». Oltre che nei contenuti, la forza del progetto friulano è nei numeri: 33 finora i pediatri coinvolti, che mediamente incontrano 5 famiglie al giorno per le visite filtro di cui dicevamo sopra. Significa che ogni giorno vengono raggiunte dai “Custodi digitali” 165 famiglie, in un mese quasi 5mila, in 6 trentamila. Numeri impressionanti, che presto potrebbero essere moltiplicati per tutti e 80 i pediatri della Regione e, chissà, forse anche oltre: «Presen-teremo il progetto in questi giorni al convegno nazionale della Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (Sicupp) – spiega la vicepresidente Falvia Ceschin –. Il suo punto di forza è vedere nel pediatra, finalmente, anche un educatore: una figura coinvolta nel percorso educativo del bambino, non solo nella sua cura ma anche nella prevenzione. Lavorare sul territorio, mettendo in rete la sfida di quella prevenzione, è il salto che dovremmo fare anche a livello nazionale. Questo è solo l'inizio.

Il “patto” di Vimercate

Educazione digitale, territori sempre più consapevoli. Oltre all'esperienza friulana altre realtà, piccole e grandi, hanno deciso di scendere in campo per affrontare i problemi relativi all'uso corretto di smartphone, tablet e giochi elettronici da parte dei ragazzi. È il caso di Vimercate, a cavallo tra Brianza e hinterland milanese, dove è stato appena firmato un patto tra Comune, pediatri e scuole per avviare un programma educativo pensato in modo specifico per ampliare le conoscenze di ragazzi e, soprattutto, di genitori nell'universo digitale. L'iniziativa nasce dal basso ma con basi scientifiche di grande solidità. Perché tra i partner della nuova alleanza c'è il Centro benessere digitale dell'Università Bicocca di Milano diretto dal sociologo Marco Gui. Una tra le realtà più affermate a livello nazionale.

C'era anche Gui, che appunto risiede a Vimercate, tra gli oltre cento genitori coinvolti qualche settimana fa in un'assemblea su Zoom per capire come affrontare questa nuova emergenza educativa. «Ci siamo trovati con altri genitori che frequentano la stessa
scuola a riflettere su vantaggi e svantaggi dello smartphone e abbiamo deciso – racconta il docente – che era arrivato il momento di ampliare la sensibilizzazione sul problema. Il tema più sentito nella galassia del digitale? Appunto quello dello smartphone. Serve davvero ai nostri ragazzi? È un aiuto o un danno per il rendimento scolastico? Aiuta a socializzare o contribuisce ad isolare ancora di più i nostri figli? Tante domande. Purtroppo la connessione non permetteva a più di cento persone di essere presenti contemporaneamente on line. Ma c'erano altre decine di mamme e papà che avrebbero voluto collegarsi e non ci sono riusciti».

Da qui la decisione di proporre un modello strutturato per approfondire il tema. Coinvolgendo le istituzioni, i pediatri, le scuole. Inevitabile il riferimento a Marco Grollo, l'educatore friulano che ha avviato l'esperienza dei “Custodi digitali”: «Siamo partiti dallo smartphone – riprende Gui – ma l'approfondimento riguarderà presto anche gli altri mezzi digitali con cui i ragazzi hanno contatti quotidiani. Come fondamentale sarà un programma per offrire ai genitori indicazioni educative e conoscenze tecniche adeguate. Com'è noto i due aspetti, parlando di digitale, non possono mai essere separati». Alla base del progetto la consapevolezza di una nuova e complessa urgenza educativa. Insieme all'importanza di far crescere le conoscenze dei genitori. Non ci può essere un'educazione digitale fondata su principi generali. Ecco perché mamme e papà devono imparare a gestire in modo disinvolto smartphone e dintorni. Che non vuol dire trasformarsi in tecnici informatici, ma arrivare a una conoscenza di base sicura su alcuni elementi irrinunciabili. Quando c'è in gioco il benessere dei figli, più che le opinioni improvvisate servono quindi le competenze di esperti che da anni si confrontano, sulla base di studi scientifici, sul rapporto tra educazione e mondo virtuale.

Un bambino si fa un selfie con papa Francesco durante un'udienza

Un bambino si fa un selfie con papa Francesco durante un'udienza - Ansa

È noto che le dinamiche aperte dall'utilizzo massiccio del mondo di internet nelle relazioni familiari, a scuola, tra i coetanei, nel tempo libero, sta cambiando il nostro modo di vivere e di pensare. C'è in gioco una dimensione dell'umano che va salvaguardata
e che non deve in alcun modo essere sacrificata alle nuove logiche della globalizzazione digitale. Ecco perché è indispensabile un approccio interdisciplinare, il coinvolgimento delle scuole e gruppi di genitori, ma sono urgenti anche percorsi formativi per gli insegnanti. Il fondamento del progetto è comunque legato a sviluppare una buona genitorialità digitale che si ottiene cercando un equilibrio tra due tipi di mediazione: quello che va riferimento al divieto, alla barriera (in questo caso elettronica), al tentativo di limitare il campo d'azione. E quello che, al contrario, si propone di accompagnare all'uso consapevole, all'equilibrio digitale, alla conoscenza equilibrata. A parere degli esperti, orientarsi soltanto alle restrizioni può avere alcuni importanti effetti collaterali, come spesso capita in qualsiasi ambito educativo. Innanzi tutto riduce le opportunità per i nostri figli di sviluppare competenze digitali; limita le possibilità di sviluppare l'autocontrollo; può essere percepito come un eccesso di sorveglianza da parte dei genitori, far nascere frustrazione e diventare così controproducente.

Molto più opportuno offrire ai nostri figli un supporto che possa aiutare a renderli autonomi nel lungo periodo. Più in generale, per i genitori non è consigliabile intendere la rete solo come un mondo da limitare e regolare. Perché non pensarla come un'opportunità da vivere positivamente, con tante possibilità formative, relazionali e anche alle occasioni? Un'opportunità preziosa soprattutto per un adolescente di far sentire la propria voce, incidendo sulla realtà che lo circonda. Ma, per questo passaggio culturale, è evidente che occorra una conoscenza approfondita e serena del mondo digitale. Solo ciò che conosciamo e che siamo in grado di maneggiare con disinvoltura non ci rende ansiosi e preoccupati. Da qui la necessità del dialogo, elemento centrale della mediazione attiva in cui genitori e figli si possano confrontare. L'educazione digitale parte da qui.

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