La sede di Autostrade per l'Italia, al centro anche dell'attuale scontro - Foto d'archivio, Ansa
Fca è stato solo l’anticipo. Il caso dei prestiti garantiti dallo Stato continua a essere quanto mai tribolato. Con nuovi risvolti infuocati perché al centro c’è, ancora una volta, Autostrade per l’Italia-Aspi, la società della "galassia Benetton" già finita sotto attacco per il crollo del ponte di Genova. Si era appena abbassato il polverone dei 6,3 miliardi di euro richiesti a una banca privata (Intesa Sanpaolo) ma con la garanzia pubblica di Sace da parte di Fca Italy, la branca italiana che fa capo alla famiglia Elkann-Agnelli, e ieri è esplosa una nuova "grana".
Un vero guanto di sfida al governo lanciato da Atlantia, la holding che controlla Aspi, irritata per il diniego di liquidità da Cdp e anche dalle banche, malgrado la garanzia Sace. La "bocciatura" di Autostrade a seguito della norma del Milleproroghe che ha cambiato il valore dell’indennizzo in caso di revoca della concessione, ha inceppato tutti i meccanismi creditizi.
Così Atlantia ha convocato un consiglio di amministrazione straordinario e dato un’indicazione secca alla propria controllata: acceda ai 900 milioni stanziati dalla capogruppo per la sola messa in sicurezza della rete e, contestualmente, blocchi tutti gli altri investimenti, pari a 14,5 miliardi di lavori.
È un vero e proprio affondo che apre un altro capitolo del duello tra il governo e la società dei Benetton. Atlantia parla di «gravi danni» dovuti alle lentezze delle decisioni e alle scelte del governo che tengono la società sulla graticola, anche dei mercati, tanto da aver dato «mandato ai propri legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società e del gruppo».
A far scattare la reazione è stata, due giorni fa, la dichiarazione del viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni (M5s), che a una domanda aveva sbarrando la strada a un eventuale prestito a questa società con la garanzia di Sace: «Domandare è lecito, rispondere è cortesia: no grazie!».
Una frase ricordata dal Cda di Atlantia, che parla di «forte preoccupazione» perché si tratta di «affermazioni peraltro contrastanti con lo spirito e il dettato del decreto e basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva verso chi sta dando un importante contributo allo sviluppo del Paese». Sono parole che riaccendono lo scontro, ovviamente: «Minacciano il governo e attaccano un viceministro, ora basta», dice a sera un esponente di rilievo pentastellato. E si apre un’altra crepa in maggioranza, con Iv di Renzi che invece dice «si metta da parte la demagogia: non si può far morire un’azienda come Atlantia».
Il nodo è sempre quello: la concessione. Il comunicato diffuso da Atlantia parte proprio da questa premessa: «Non è ancora pervenuta alcuna risposta alla proposta formale inviata da Aspi al ministero delle Infrastrutture il 5 marzo, al fine di trovare una soluzione condivisa» dopo «quasi due anni». Questo nonostante lo stesso ministro De Micheli abbia dichiarato di aver concluso l’analisi del relativo dossier. Di fatto, il giudizio sui titoli di Aspi è stato portato a "sub investment grade" e così - racconta Atlantia - Cdp «non ha ritenuto di dar corso finora ad alcuna erogazione» per una linea di credito per la quale rimangono oggi inutilizzati 1,3 miliardi. Quanto al prestito garantito, le banche stanno esaminando il dossier che non sarebbe ancora arrivato sul tavolo di Sace, società del gruppo Cdp. E proprio da fonti vicine a Cassa depositi e prestiti è giunta una replica, per sottolineare che è solo «a causa dei noti eventi rilevanti» che si è deciso che ci siano «oggettive motivazioni per non dare immediato avvallo alla richiesta di fondi. Avremmo potuto formalizzare il no – proseguono le fonti - ma invece si è iniziato un dialogo con la società».
E continua a far discutere la casistica pure di altri richiedenti dei prestiti. Libero ha scovato che, fra di essi, ci sarebbero anche la maison Valentino, ora nelle mani del Qatar, Costa Crociere del gruppo Usa Carnival, la MagnetiMarelli passata ai giapponesi di Calsonic, persino Ariston ceduta dai Merloni agli americani di Whirlpool che hanno ancora aperta la vertenza per il sito napoletano.