«Agli operai chiedo di non commettere errori, al ministro Clini dico di agire subito e all’Ilva ricordo che è il momento dei sacrifici per tutti». Taranto brucia e l’arcivescovo torna ad essere dom Filippo, il sacerdote
fidei donum che in Brasile ha messo d’accordo le popolazioni alluvionate e il governo. Monsignor Filippo Santoro ha speso gli ultimi giorni ad incontrare sindacati e magistrati e ad isolare due pericoli. Uno immediato: «Che saltino i nervi». Uno di prospettiva: «Se chiude l’Ilva è un disastro sociale, la fine di Taranto».
I tarantini scendono in piazza contro il sequestro. Cosa dice il loro arcivescovo?«Che sono vicino, che condivido la loro sofferenza. La delusione è tanta, la paura è concreta e la protesta è sacrosanta, ma non sfugga di mano».
Indichi una soluzione.«La via - stretta - è quella della concertazione tra proprietà, sindacato e governo. Ai Riva dico che questa è l’ora dei sacrifici per tutti, ma bisogna riconoscere anche che il caso Ilva è frutto di anni di omissioni, che hanno prodotto le ferite del territorio e le gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini che conosciamo e che non potevano essere ignorate dalla magistratura».
C’è rabbia contro i magistrati.«È immotivata: a loro non spetta il compito di negoziare soluzioni ma di applicare le leggi. Ho parlato con il procuratore: la decisione è stata sofferta ma inevitabile».
Il governo ne chiede un riesame. È d’accordo?«Sicuramente il blocco degli impianti sarebbe un disastro. Non so se si possa interrompere la procedura giudiziaria, so che la decisione della politica è arrivata, finalmente, ma è arrivata tardi. Adesso spetta alla politica recuperare il tempo perduto investendo con convinzione nella bonifica. È un dovere cui il governo Monti non può sottrarsi: in un momento di grave crisi economica, ancora maggiore dev’essere l’impegno perché sia confermato il posto di lavoro e garantite la giustizia e la pace sociale. Il governo deve comprendere che l’Ilva di Taranto è una questione nazionale. Tanto questa città dà ed ha dato allo sviluppo del Paese: è giunto il momento di ripagarla del sacrificio fatto».
Un atteggiamento diverso della proprietà non aiuterebbe?«Chiedo ai Riva di condividere questa fase di sacrifici, anche se va detto che l’inquinamento si è sviluppato soprattutto quando gli stabilimenti appartenevano allo Stato e non si è fatto nulla».
Cosa farà adesso la Chiesa tarantina?«Resteremo vicini agli operai, con la preghiera e l’impegno sociale, continueremo a premere a ogni livello per raggiungere una soluzione concertata e scongiurare lo spettro del blocco della produzione, personalmente ho contatti quotidiani con Clini e con i vertici della Cei perché il problema sia affrontato con sollecitudine. E poi ci porremo il problema del futuro di Taranto: con il ministero dell’Ambiente e l’Oms vogliamo convocare una conferenza scientifica in città durante la quale, oltre a fare il punto sulle ricadute ambientali del danno, verificare con esempi concreti se esista una "via tedesca" per risolvere il problema, nel senso che esamineremo la soluzione applicata negli stabilimenti di quel Paese per coniugare produttività, occupazione e rispetto ambientale. Per una soluzione realmente sostenibile bisogna partire da esempi virtuosi, da un approccio positivo».