Ansa/Alessandro Di Meo
Si prospetta una strada ancora più in salita per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La sua proposta di riforma della giustizia, che ha già qualche detrattore nel mondo della politica a partire da Italia viva, non trova nemmeno buoni alleati nel mondo della magistratura che definisce irrealistiche e irricevibili alcune novità ipotizzate dal guardasigilli, in particolar modo quella della durata dei processi stabilita per legge e delle sanzioni per giudici che non rispettano i tempi. Così l'Anm ha deciso di disertare il tavolo tecnico convocato al ministero per il 26 febbraio proprio perché le ragioni illustrate dalla magistratura associata sulla riforma del processo penale sono «rimaste, nella sostanza, del tutto inascoltate». In più sottolineano che, «fino a quando nel testo del ddl saranno contenute previsioni di questo tipo, riteniamo di non poter avere alcuna interlocuzione e di non poter continuare a fornire il leale contributo fino ad ora prestato nell'elaborazione delle proposte di riforma».
La replica del diretto interessato arriva a metà pomeriggio. «Sottrarsi al confronto, anche aspro, rappresenta un'occasione mancata», dice il ministro Alfonso Bonafede. «Mi dispiace sinceramente che, in questo modo, l'Anm - osserva il guardasigilli - rinunci a esprimere la voce dei magistrati italiani in merito a una riforma importante come quella del processo penale. Tra l'altro, il tavolo è l'occasione per conoscere, per la prima volta, la versione definitiva della riforma».
Ciò che rende inaccettabile il testo normativo nel suo complesso per i magistrati e che impedisce perciò, allo stato, ogni possibilità di confronto e interlocuzione, sottolineano ancora i giudici, è che «le previsioni sulla durata delle indagini e dei processi siano accompagnate dall'introduzione di ulteriori sanzioni disciplinari a carico dei magistrati». Secondo la Giunta dell'Anm questa è «norma manifesto», uno «slogan che si traduce in un ingeneroso e immeritato messaggio di sfiducia nei confronti dei magistrati italiani, che cede alla facile tentazione di scaricare sui singoli le inefficienze del sistema che, come tali, sono, invece, esclusiva responsabilità della politica» e che, «in modo disinvolto, rischia di suscitare, soprattutto nei magistrati più giovani, la tentazione di una risposta di giustizia di carattere difensivo e burocratico, ancora una volta con l'evidente conseguenza di non rendere un buon servizio ai cittadini».
L'Anm, si legge ancora nel documento, «è da sempre consapevole del fondamentale ruolo di interlocutore sulle proposte di riforma riguardanti il diritto sostanziale, il processo civile e penale e l'ordinamento giudiziario». Proprio volendo dare il loro contributo, aggiungono i vertici del sindacato delle toghe «abbiamo finora partecipato, cercando di fornire il nostro contributo in maniera leale e costruttiva, ai tavoli tecnici convocati dal ministro della Giustizia: abbiamo sostenuto le nostre idee, avanzato le nostre proposte, ascoltato le ragioni dei rappresentanti delle altre categorie, accettando che alcune delle nostre proposte non fossero accolte e che nei testi elaborati fossero contenute anche previsioni rispetto alle quali abbiamo argomentato il nostro motivato dissenso».
Su due profili della riforma licenziata dal Cdm, ricorda la Giunta dell'Associazione magistrati, da subito sono stati però espressi dubbi. Innanzitutto la «semplicistica idea, apparentemente frutto di una visione ingenua del processo, di determinarne per legge la durata, trattando allo stesso modo vicende di complessità molto diversa e dimenticando che uno dei fattori della durata dei processi è anche lo scrupolo nell'accertamento dei fatti». Inoltre, ribadisce ancora l'Anm, «frutto della stessa irrealistica idea di ottenere una riduzione dei tempi attraverso astratte e generalizzate previsioni di legge, è la nuova disciplina della durata delle indagini preliminari, accompagnata dalla pericolosissima sanzione processuale della ostensibilità degli atti di indagine», che avrà come inevitabile effetto - conclude il sindacato delle toghe - «il depotenziamento del contrasto alle forme più articolate e aggressive di criminalità, organizzata e non, ancora una volta con danno per l'intera collettività».