La popolazione invecchia e quest’anno saranno 35 milioni i malati di Alzheimer nel mondo. La cifra, che supera del 10% le già preoccupanti previsioni formulate nel 2005 dall’associazione Alzheimer Disease International, ha portato la prestigiosa rivista Lancet Neurology a definire il disturbo come «la sfida globale del XXI secolo». I casi di demenza sono destinati a raddoppiare nei prossimi 20 anni, fino a oltrepassare abbondantemente il tetto dei 100 milioni nel 2050. Il problema – sottolinea su
Lancet Jean Francois Dartigues dell’Università di Bordeaux – è che «la quantità di casi non diagnosticati e la mancanza di registri nazionali come quelli istituiti per tumori, malattie infettive o disturbi cardiovascolari potrebbe far risultare questi numeri di molto inferiori alla realtà del fenomeno». Dichiarato dal Parlamento europeo «priorità di salute pubblica», l’Alzheimer interessa nel Vecchio Continente, insieme alle altre demenze, più di 7 milioni di persone. Secondo la Federazione Alzheimer Italia, nel nostro Paese soffrirebbe del morbo addirittura il 20% della popolazione al di sopra dei 65 anni, in pratica due persone ogni dieci, per un totale – come stima il Censis – di circa 520.000 pazienti nel Paese, pari a un’incidenza di 80.000 nuovi casi l’anno, destinata a crescere a 113.000 nel 2020. In Italia il costo annuo per paziente, comprensivo sia dei costi sostenuti dalle famiglie sia di quelli a carico della collettività, è stimato in 60.000 euro, rispetto ai 13.000 euro mediamente sborsati dagli altri Paesi ad alto reddito. A livello mondiale i costi sociali complessivi della demenza vengono stimati dal Karolinska Institute svedese in circa 220 miliardi di euro l’anno. Ma che cos’è l’Alzheimer? È una malattia del cervello descritta per la prima volta nel 1906 dal neurologo tedesco Alois Alzheimer, dal quale ha preso il nome. Principale causa di demenza ( oltre il 70% dei casi), in termini tecnici è una patologia neurodegenerativa complessa e multifattoriale i cui meccanismi di sviluppo non sono ancora completamente chiariti. Gli unici trattamenti oggi disponibili agiscono solo sui sintomi e non vengono sommini-strati se non in fase avanzata del decorso della malattia, quando i disturbi cognitivi vanno a interferire con la vita quotidiana al punto da spingere la persona o un familiare a rivolgersi a uno specialista. «Dal momento della diagnosi al termine della vita restano in media 10 anni, ma la variabilità individuale è ampia, con pazienti che vivono meno di 5 anni e altri più di 20», spiega Giovanni Frisoni, neurologo del-l’Irccs Fatebenefratelli di Brescia, uno dei maggiori studiosi italiani dell’Alzheimer. I sintomi iniziali sono generalmente lievi e limitati ai soli disturbi di memoria, ma la loro gravità progredisce col tempo fino a estendersi a tutto lo spettro cognitivo e della personalità. Agli iniziali disturbi di memoria possono infatti seguire problemi di linguaggio, disorientamento spaziale e temporale, difficoltà di attenzione e di ragionamento, confusione, unite ad alterazioni evidenti del comportamento quali ansia, irritabilità, agitazione, apatia, che vanno pian piano a creare problemi nel quotidiano, rendendo la persona incapace ad esempio di gestire il denaro e l’assunzione dei farmaci, di occuparsi delle faccende domestiche, di prendersi cura della propria igiene, di vestirsi e di mangiare. La diagnosi clinica dell’Alzheimer inoltre non è facile: avendo una sintomatologia simile alle altre demenze ( ad esempio quelle associate ai disturbi vascolari, al Parkinson, alla depressione, alle carenze alimentari), ancora oggi nessun tipo di indagine 'in vita' consente di discriminare con certezza fra Alzheimer, altre forme di demenza e normale invecchiamento. Anche quest’ultimo infatti comporta modificazioni a carico delle funzioni cognitive e processi biologici analoghi. Ma l’anziano 'sano' è ancora in grado di utilizzare strategie efficaci di compensazione e di adattamento, attingendo al patrimonio di risorse cognitive accumulate nel corso della vita. « Questo patrimonio, chiamato riserva cognitiva, può rivestire un ruolo importante come fattore protettivo – spiega Rossana De Beni, professore ordinario all’Università di Padova e presidente della Società italiana di psicologia dell’invecchiamento (Sipi) – : quanto maggiore è tale riserva, tanto più efficaci saranno le strategie di adattamento e di compenso sviluppate». L’Alzheimer viene anche definita una 'malattia insidiosa' perché, quando i sintomi si manifestano, il processo patologico sottostante ha già operato profondamente e per lungo tempo. Lo sviluppo delle caratteristiche placche senili, i depositi di amiloide, la presenza di aggregati proteici anomali all’interno dei neuroni, la morte di questi ultimi unita alla riduzione delle sinapsi (i contatti fra i neuroni che consentono lo scambio dei segnali), ha infatti inizio decenni prima dell’insorgenza dei sintomi, più o meno intorno ai 40 anni. È per questa ragione che «solo una diagnosi precoce e un trattamento presintomatico potrebbero drasticamente ridurre l’incidenza e la prevalenza dell’Alzheimer», spiega Peter Lansbury, della Harvard Medical School, che ha recentemente curato uno speciale di Nature sull’argomento. «Agendo per tempo sul processo patologico – dice Lansbury – si riuscirebbe a rallentare il declino cognitivo quanto basta per differire nel tempo la comparsa dei disturbi funzionali ». Una strategia quantomeno astuta, se ancora oggi non c’è una cura per la malattia. Dunque, screening ad ampio raggio della popolazione per i fattori di rischio più comuni? « Certo, ma prima pensiamo ad assistere i malati e le loro famiglie, poi anche a tutto il resto – risponde Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia –. Le Unità di valutazione Alzheimer ( Uva) sono diventate in gran parte meri somministratori di farmaci... Servono invece un coordinamento dei servizi sul territorio e interventi di formazione destinati agli operatori, vista la complessità della malattia, non riducibile alla sola componente biologica. Si pensi che fino al 75% di chi si prende cura dei malati soffrono di depressione e altri disturbi psicologici» .