Foto archivio Ansa
Alcuni le fanno passare per semplici ragazzate, quasi come fossero goliardici e innocenti riti di iniziazione per entrare nel mondo degli adulti. In realtà il binge drinking (le 'abbuffate alcoliche' di chi beve diversi bicchieri in rapida successione per stordirsi e ubriacarsi) possono portare a sviluppare una vera dipendenza, soprattutto tra i più giovani. Ad averlo dimostrato è lo studio effettuato presso la fondazione Policlinico universitario Gemelli – Università Cattolica, condotto dai professori Giovanni Addolorato (direttore dell’Unità operativa semplice di area patologie alcol correlate dell’Università Cattolica) e Antonio Gasbarrini e pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports del gruppo editoriale di Nature. «Sta accadendo ciò che è avvenuto negli anni Settanta nel dibattito sui cannabinoidi. Oggi – spiega Addolorato – la comunità scientifica è divisa tra chi sostiene che il fenomeno sia un normale passaggio adolescenziale e chi pensa, invece, che sia un reale pericolo da non sottostimare».
Il binge drinking è una modalità di assunzione di alcolici che nell’ultimo decennio si è notevolmente diffusa in Italia. Consiste nel bere oltre 4-5 unità alcoliche in un’unica occasione e in breve tempo, lontano dai pasti e per avvertire gli effetti psicotropi del cosiddetto 'sballo'. Una unità alcolica, pari a 12,5 grammi di etanolo, corrisponde a 125 millilitri di vino a media gradazione - quindi un bicchiere - o 330 ml di birra - una lattina o una bottiglia - o 30 ml di super alcolici - un bicchierino da bar. Finanziato dalla fondazione Roma e dalla Fondazione italiana per la ricerca sulle malattie epatiche, lo studio ha coinvolto 2.704 giovani di età compresa tra i 13 e i 20 anni delle scuole superiori della Capitale e di altre città del Lazio: i ragazzi hanno compilato questionari per valutare il loro consumo di bevande alcoliche, di fumo, l’uso di droghe e il quadro psicologico individuale.
I dati emersi sono gravi e sorprendenti. Innanzitutto circa l’80% del campione ha dichiarato di consumare bevande alcoliche, anche se – va ricordato – in Italia la vendita di alcolici ai minori è vietata dalla legge. E poi, la maggior parte dei giovani coinvolti nell’indagine non era mai stata informata né dai familiari né dal personale sanitario circa i rischi connessi al consumo di bevande alcoliche in considerazione, soprattutto, della giovane età. Infine, la risposta alla domanda che ha dato il via alla ricerca: il 6,1% dei ragazzi presentava un disturbo da uso di alcol, in particolare il 4,9% presentava una diagnosi di abuso di alcol mentre il rimanente 1,2 % presentava addirittura una vera dipendenza. «La quota dei ragazzi con diagnosi di alcol–dipendenza era esclusivamente presente nel gruppo di giovani abituati al binge drinking – osserva Addolorato – mentre era assente in chi non era solito a questo comportamento. Insomma, le abbuffate alcoliche sono un fattore di rischio molto forte per lo sviluppo di dipendenza nei ragazzi». Un messaggio di pericolo per educatori e genitori, che sono chiamati a non sottovalutare eventuali segnali: «L’alcol – conclude Addolorato – nei giovanissimi crea danni importanti a livello fisico, non solo al fegato, ed è causa di sterilità maschile e femminile, di tumori, di problemi cerebrali e neurologici. Ma rende anche i giovani più vulnerabili, inclini a fare o subire violenza».
Lo studio è stato condotto a Roma, ma il fenomeno è del tutto trasversale a livello nazionale ed è superiore alle tendenze europee, considerando anche i paesi del Nord dove l’abuso di alcol è tradizionalmente più diffuso. «Il binge drinking non è piu di moda in Inghilterra. I ragazzi – spiega Emanuele Scafato, vicepresidente della Federazione europea delle società sulle dipendenze (Eufas) – stanno adottando abitudini diverse ed è considerato più trendy saper cucinare o mangiare bene. Sarebbe necessario cavalcare culturalmente questa tendenza, impegnandosi per conoscere a fondo la loro cultura e utilizzando linguaggi appropriati. I giovani non temono i rischi per la salute, gli incidenti, le malattie ma l’esclusione da parte del loro gruppo sociale. E su questo bisogna lavorare». I drammi emergono poi nei pronto soccorso, dove i ragazzi che hanno abusato di alcol arrivano in condizioni estreme. Eppure, in questi casi, non esistono protocolli condivisi di intervento: «I giovani non vengono presi in carico e inseriti in una rete di protezione. Basterebbero cinque minuti di colloquio per contribuire a incrementare la consapevolezza del pericolo e soprattutto a capire se è stata una bravata o è il segnale di una gravissima abitudine. L’alcol è ancora la prima causa di morte giovanile in italia. Non bisogna mai dimenticarlo».