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La voce provata dall’intervento ad Atreju non smorza la vena polemica con cui Giorgia Meloni affronta la discussione in Senato sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo. Lo show inizia ancora prima di prendere la parola, con le reazioni plateali ai rilievi delle opposizioni, le smorfie, le mani in testa e gli occhi sgranati. I toni sono accesi, specie quando si tratta di affrontare i temi più cari alla premier, come quel modello Albania così testardamente difeso nonostante gli interventi della magistratura. Per il capo dell’esecutivo «non è un caso se c'è molta opposizione», perché «tra tutte le iniziative» per la gestione dei migranti, l’accordo Roma-Tirana «è quella che preoccupa di più i trafficanti di esseri umani» ed «è un modo molto efficace di combattere la mafia del mare».
Alla presidente del Consiglio non piacciono neanche i commenti sul suo rapporto con Elon Musk arrivati dal Pd. Un legame che a suo avviso non comporta ingerenze, ma «guarda all'interesse nazionale». «Non prendo ordini da nessuno», insiste, mentre «finché sosteneva il Partito democratico nessuno ha detto una parola: io non ragiono così». Il fuoco sui democratici si intensifica quando si parla di Ue: «Voglio un'Europa più forte. Il tema è che deve occuparsi di meno cose e di farle meglio. Questa resta la mia idea di Unione europea, vedo il mondo a modo mio, bisogna confrontarsi», ma «per voi chiunque ha una idea diversa dalla vostra è impresentabile». Sulla nomina di Raffaele Fitto le accuse si fanno ancora più pesanti: «Il Pd ha accettato che il commissario europeo italiano fosse preso in ostaggio per difendere il commissario spagnolo. Questo sarebbe gravissimo senatore Alfieri. Avevo il dubbio che fosse così, oggi lei mi dà la certezza. Ma gli italiani sappiano che il commissario italiano, indicato dall'Italia, è stato preso ostaggio per consentire l'elezione del commissario spagnolo. È molto grave».
Ancor più rumoroso il battibecco con i senatori del M5s, specie per quanto riguarda l’accusa mossa da Dolores Bevilacqua sulla sudditanza rispetto alle banche. «Siamo stati accusati che di essere servi di varie lobby tra cui quella delle banche – argomenta Meloni –. Penso che non si possa accusare di essere servo delle banche chi ha coperto parte della legge di Bilancio, precisamente con 3,6 miliardi di euro, per il taglio del cuneo fiscale, i provvedimenti per le famiglie e i lavoratori». A quel punto le proteste in Aula esplodono costringendo il presidente Ignazio La Russa a intervenire più volte per ristabilire la calma.
Scintille anche per la questione case occupate, in particolare quando la premier rivendica che a Caivano «siamo stati noi a buttare fuori 36 camorristi dalle case occupate della povera gente, ma stavano lì da qualche anno e nessuno se n'è accorto». E qui va in scena un nuovo siparietto con Meloni che imita le grida di disappunto e La Russa che interviene ancora.
Lo scontro con Matteo Renzi sul presidente argentino Milei fa storia a sé. Il leader di Italia viva stuzzica: «Lei sta con Milei, quello che grida “afuera”, lei è quella che grida “Cnel”. Quando le ha portato la motosega io immaginavo che gli restituisse un Brunetta». Meloni non si fa pregare e replica a tono: «Senatore Renzi che vuol dire stare con Milei? Lei era amico di Barak Obama e si metteva il cappotto come lui, io sono amica di Milei ma non mi faccio crescere le basette... Penso che Milei sia una novità molto interessante nel panorama politico argentino, penso che sia la persona giusta per quel contesto in questo momento ma non penso che quello che dice Milei sarebbe replicabile in Italia».
Non manca un passaggio sulla transizione energetica e sulla crisi dell’auto, giusto per ribadire che occorre «fare una riflessione su come stanno mutando i consumi nella nostra società. Siamo cresciuti in un mondo in cui l'auto definiva lo status sociale – è il ragionamento di Meloni – ora non è più così. Quando cambiano i consumi, perché ci sia un'offerta efficace occorre che ci sia anche la domanda». Insomma, «nessuno nega l'emergenza climatica, ma contestiamo la strategia della Ue, con un approccio troppo ideologico, questo non funziona. Il nostro sistema è uno dei più verdi al mondo, se massacriamo quel sistema creiamo un problema».