mercoledì 18 dicembre 2024
Il capo del tribunale di Aleppo: legge unica in tutto il Paese, non ci sarà sharia per matrimoni e divorzi, niente velo per le donne. Le Ong denunciano: fosse comuni con 100mila cadaveri
L'esultanza della folla di Aleppo nel primo venerdì di festa dopo la fine del regime di Assad

L'esultanza della folla di Aleppo nel primo venerdì di festa dopo la fine del regime di Assad - ANSA

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L’edificio, sontuoso e kafkiano, che ospita il palazzo di giustizia di Aleppo, è deserto. Per terra, all’entrata, giace la foto di Bashar al-Assad, lasciata a mo’ di zerbino. Le enormi gigantografie del dittatore fuggito, però, sono ancora al loro posto, sulla facciata. «Non abbiamo avuto il tempo di toglierle», spiega il combattente di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) che, insieme a una decina di compagni, presidia l’edificio. E veglia sul suo inquilino: il giudice Ahmad al-Mohammad. Dentro, del personale – 800 tra magistrati e impiegati –, non c’è traccia dal 30 novembre quando la presa della seconda città della Siria da parte dei ribelli ha segnato l’inizio della caduta del regime una settimana dopo. Torneranno in servizio oggi e riprenderanno, pian piano, le attività. Nel corridoio del primo piano, intanto, c’è solo una donna, completamente velata.

La porta della stanza del presidente del Tribunale è chiusa. Al-Mohammad – dice il miliziano che scorta i pochissimi ammessi – sta pregando: oltre che islamico osservante, è uno sheikh. «Sono studioso e insegnante di religione. Il venerdì, inoltre, sono incaricato del sermone in moschea», dice il magistrato 43enne, con voce bassa e cadenzata, quando, dopo qualche minuto, si affaccia alla soglia e fa cenno di entrare, affabile.

Il presidente del tribunale di Aleppo, al-Mohammad

Il presidente del tribunale di Aleppo, al-Mohammad - .

Sulla grande scrivania di legno pregiato c’è il Corano. La scelta del ministero della Giustizia di affidare la guida del sistema giudiziario di Aleppo allo sheikh Mohammed – la stessa persona a capo della corte di Idlib - ha suscitato perplessità. Nell’ultima settimana, si sono moltiplicate le voci di avvocate e magistrate a cui sarebbe stato vietato di ripresentarsi al lavoro, dell’obbligo di velo per le impiegate e dell’applicazione, di fatto, della sharia, la legge coranica. Al-Mohammed sorride e risponde pacato: «Guardi che a Idlib avevamo un’avvocata, anche se nessuna giudice. Stiamo formando comitati per rielaborare la Costituzione e le leggi e queste rispetteranno le sensibilità dei siriani di ogni religione. Posso anticipare, però, che le donne potranno continuare a lavorare nei tribunali come legali e magistrate. E che, per quanto riguarda il matrimonio e il divorzio, manterremo le attuali normative e le estenderemo all’intero Paese, inclusa Idlib».

Nella provincia-roccaforte dei ribelli, dove Hts governa dal 2017, vige la sharia. «Eppure non abbiamo mai tagliato le mani ai ladri né applicato la pena di morte. Avevamo creato dei consigli incaricati di mediare tra il condannato e i familiari della vittima affinché questi ultimi lo perdonassero in cambio di una compensazione, risparmiandogli il patibolo. Era Bashar al-Assad a fare esecuzioni e molto peggio».

Dall’8 dicembre, giorno dopo giorno, emergono nuovi orrori perpetrati dalla dittatura. Ieri, Mouz Moustafa, della Syrian emergency task force, ha dichiarato che, in base alle sue stime, nella fossa comune di al-Qutaifa ci sono almeno 100mila corpi di oppositori. «Quell’epoca di terrore è finita. Stiamo cominciando una nuova pagina, una pagina bianca. Non consentiremo la tortura. I criminali della dittatura saranno sottoposti a processi pubblici e il giudice deciderà la punizione in base alle nuove leggi. Il carcere-simbolo di Sednaya sarà chiuso. Stiamo pensando di trasformarlo in un museo della memoria ma non abbiamo ancora avuto il tempo di decidere. Sta accadendo tutto così in fretta. Il fatto è che pensavamo di dover combattere per sei mesi solo per prendere Aleppo e, invece, siamo arrivati a Damasco in undici giorni».

Diritto di famiglia a parte, dunque, per configurare il sistema legale del dopo-Assad ci vorrà tempo. «Sarà frutto del lavoro dei comitati. È probabile che la sharia sia la base ma venga integrata con altre fonti in modo da andare incontro alle differenti componenti della società siriana». Affermazioni in linea con quelle del leader di Hts, Ahmed al-Sharaa, meglio noto come Abu Mohammed al-Jolani, il quale, di fronte alle delegazioni britanniche e tedesca, giunte nel Paese per i primi contatti, ha ribadito l’impegno a garantire uguali diritti alle minoranze. Anzi, ha parlato di un «contratto tra lo Stato e le varie fedi per la giustizia sociale».

E ha promesso che la Siria non sarà la base di attacchi terroristici «contro Israele o qualunque altra nazione». «Non imporremo, ad esempio, il velo alle donne». A Idlib, però, l’hijab è obbligatorio e, anzi, viene “suggerito” anche alle visitatrici, di qualunque nazionalità. «Il fatto è che là sono tutti musulmani. E gli uomini non sono abituati alle donne con il capo scoperto in pubblico. Mio figlio, ad esempio, non ne ha mai vista una. Solo in tv», ride il giudice, nato e cresciuto ad Aleppo, città da dove è fuggito nel 2011 per unirsi ai ribelli islamisti che poi avrebbero dato vita al Fronte al-Nusra, da cui è nato Hts. «Ora finalmente sono tornato, anche vivo accampato in quest’ufficio. Ci dormo perfino. Non vedo l’ora di sistemarmi per portare qui la mia famiglia: i miei tre figli e mia moglie. Ha sentito bene, al singolare. Ho una moglie sola, la amo e non ne voglio altre. Cosa crede, siamo esseri umani come voi. Con degli affetti, dei sogni, il desiderio di una vita buona».

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