martedì 22 gennaio 2013
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«L’affidamento familiare non è fallito. Resta un intervento straordinario che dà una vera famiglia a 15.000 bambini e ragazzi. Ma urgono interventi per migliorarlo». Le parole di Valter Martini, per anni componente dell’Osservatorio nazionale Infanzia e adolescenza, ed esponente dell’associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII" di Rimini, sottolineano la necessità di mettere mano a un istituto complesso quanto delicato, la cui riforma è oggetto di una campagna promossa dall’Associazione Amici dei bambini finalizzata all’approvazione di una nuova legge sull’"accoglienza temporanea familiare".Martini vuole prima di tutto mettere in chiaro una cosa: «Le famiglie affidatarie – spiega – sono vere famiglie, non nuclei "badanti". Anche se un bambino ci rimane pochi giorni, i "nuovi" genitori, chiamateli "sostitutivi" o "integrativi", sono pur sempre veri genitori». Un discorso che «non muta» se si prendono in considerazione anche le Case famiglia. Detto questo, Martini non crede vada tradito lo spirito della legge 149/2001 (che ha disposto la chiusura degli istituti ponendo al centro del sistema il minore, nello spirito di promuovere l’accoglienza familiare, soprattutto per bimbi con meno di 6 anni); piuttosto, con altre associazioni e organismi, si possono «sviluppare azioni comuni».Quali? «Contenere i tempi di durata degli affidi, limitando i lunghi periodi» ed escludendo la sottrazione di bambini alle famiglie in difficoltà «per mandarli in adozione». I minori sotto i 6 anni, anche con disabilità, «devono essere più collocati in famiglie affidatarie o Case famiglia dove è presente una figura materna e paterna». Per Martini va inoltre «riconosciuto il ruolo delle associazioni familiari» che, su questi temi, devono essere maggiormente coinvolte con le istituzioni pubbliche. Così come fondamentale deve essere il riconoscimento delle Case famiglia nel modello «della complementarietà delle accoglienze» nelle regioni dove questo ancora non avviene, non meno del "valore aggiunto" da attribuire «alla coppia residente nella struttura». Il tutto con criteri organizzativi e gestionali diversi da quelli delle comunità educative.Ancora, è utile, secondo l’esponente della Comunità Papa Giovanni XXIII, «prevedere che un affidamento possa essere fatto a famiglia affidataria appartenente a una rete di famiglie»; rendere «effettivo» l’obbligo delle famiglie affidatarie di essere sentite dal magistrato nei procedimenti per l’adottabilità; stabilire, infine, un «reale contributo economico alle stesse famiglie e per ogni tipo di affido», specie riguardo ai minori con problemi. In gran parte si tratta di misure previste dalla legislazione vigente alle quali, però, «occorre dare piena applicazione».Una linea che incontra non poche assonanze con l’impegno dell’Associazione "Famiglie per l’accoglienza", che, per bocca del vicepresidente Rosy Serio, difende la legge 149 ed esalta il valore di un affido che «non può avere scadenze perentorie. La durata non è valutabile preventivamente – dichiara –; le dinamiche che si sviluppano nei singoli percorsi dei minori affidati, possono durare tempi imprevisti ma necessari alla crescita dei minori. Per questo possiamo dire che l’affido può essere sine die come centinaia di esperienze dimostrano». Fermo restando «l’assoluta sacralità e il rispetto dei nuclei originali con i quali vanno coltivati e alimentati i rapporti». Un modello, quello di Famiglie per l’accoglienza, che considera prioritario inquadrare il bambino come «profondamente legato alla sua storia, alla sua famiglia», senza rinnegare i suoi legami «per quanto inadeguati» possano apparire.Nella vita dell’associazione «le famiglie trovano un aiuto concreto anche formativo ed educativo, per preparare e sorreggere esperienze di accoglienza». Alle istituzioni, Famiglie per l’accoglienza chiede quindi di «rinforzare e sottolineare il ruolo degli affidatari» e dare «legittimazione alle associazioni familiari», valorizzando «la soggettività educativa» dei nuclei. Serio sottolinea, ancora, l’importanza, per le associazioni familiari, di poter essere «accreditate». Compito della politica deve essere anche quello di prevedere «sgravi fiscali alle famiglie affidatarie», percorsi burocratici «alleggeriti», di implementare «le logiche del welfare comunitario» aprendo al «partenariato sociale». Necessario inoltre «investire nella formazione degli operatori». Del resto, afferma ancora Serio, «il ruolo di protagonista che le famiglie svolgono nell’associazione è legato a una visione non assistenzialistica». La visione di fondo, conclude Serio, «poggia su quella che l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, chiama "la soggettività affettiva, economica, politica ed etica della famiglia"».
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