Lo spettro del decisionismo interventista dei giudici sull’attendismo ondivago del legislatore. È già capitato molte volte in questi ultimi anni sui temi della vita e della famiglia. Potrebbe capitare anche domani, quando la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sulla richiesta dei giudici del Tribunale dei minorenni di Bologna che, convinti della necessità di trascrivere in Italia una doppia, reciproca
stepchild adoption tra due mamme omosessuali 'sposate' nell’Oregon, hanno avanzato il «sospetto di illegittimità costituzionale » per due articoli della legge 184 del 1983 sulle adozioni che impediscono il riconoscimento della sentenza straniera. È evidente il peso politico che avrebbe la sentenza della Consulta, proprio alla vigilia della ripresa del dibattito sul ddl Cirinnà, come
Avvenire ha già argomentato nell’edizione di domenica. Se venisse raccolto l’appello del Tribunale di Bologna, il dibattito politico e mediatico di questi mesi potrebbe essere vanificato, anzi polverizzato, in pochi istanti. Condizionale d’obbligo perché rimane da capire sia quando verrà resa nota l’eventuale sentenza sia il tipo di decisione che prenderanno i supremi giudici. Tra le ipotesi c’è infatti quella secondo cui la Consulta potrebbe decidere di non entrare nel merito della vicenda, rinviando tutto al Parlamento, come già capitato in due precedenti occasioni, nel 2010 e nel 2014.
«EVVIVA LA COPPIA LESBICA» Indubitabile in ogni caso che l’impianto dell’ordinanza con cui, il 10 novembre 2014, i giudici di Bologna hanno sospeso il giudizio sulla vicenda e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale per verificare l’illegittimità costituzionale degli articoli 35 e 36 della legge sulle adozioni, sia del tutto a favore della cosiddetta 'famiglia omogenitoriale'. Non è la prima volta che sul tema si registrano pronunciamenti segnati da una creatività giuridica a senso unico. Già in una quindicina di casi, in questi ultimi anni, il diritto sulle adozioni è stato piegato al politicamente corretto. Anche in questa occasione il Tribunale di Bologna non fa eccezione. Può destare qualche stupore che giudici minorili esperti e collaudati come quelli in servizio nel capoluogo emiliano ravvedano, a 33 anni dall’entrata in vigore di una legge, possibili profili di incostituzionalità. Sotto accusa in particolare gli ar- ticoli 35 e 36 della legge 184, che pongono precise condizioni per la trascrizione in Italia della sentenza di adozione pronunciata all’estero. In particolare l’articolo 35, comma 3, impone al tribunale di accertare che l’adozione «non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori». E nel caso delle donne 'sposate' negli Usa nel 2013 – entrambe mamme grazie all’inseminazione artificiale da donatore anonimo – già il pm il 23 settembre 2014, aveva respinto la richiesta di trascrizione che per la legge italiana prevede «l’adozione del figlio del coniuge solo in presenza di un matrimonio riconosciuto dalla legge italiana».
«MUTATO QUADRO SOCIALE»? Questione chiusa? Niente affatto. I giudici del Tribunale dei minorenni non si arrendono e, dopo aver messo in fila una lunga serie di riferimenti giuridici – anche questi a senso unico – sia italiani che internazionali, arrivano ad affermare che oggi l’articolo 6 della legge 184/1983 – cioè 'l’adozione è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio' – «desta perplessità», tanto più di fronte a due mamme lesbiche «con ventennale esperienza». Conseguenza inevitabile: il matrimonio celebrato all’estero tra persone di sesso uguale, non solo «non è più considerabile come contrario all’ordine pubblico», ma lo stesso presupposto naturalistico «non è più condivisibile, alla luce del mutato quadro sociale ed europeo...», argomenta il giudice-sociologo sulla base di ignote valutazioni culturali, visto che non è citato studio alcuno per suffragare un’argomentazione così impegnativa a favore dell’adozione omogenitoriale. Che il «quadro sociale» vada univocamente nella stessa direzione è per esempio smentito da tutti i sondaggi di queste settimane, in cui 3 italiani su 4 hanno espresso contrarietà all’ipotesi di stepchild adoption. E quando i giudici invocano «il principio di ragionevolezza » sarebbe davvero il caso di capire se è più ragionevole aprire in modo indiscriminato all’adozione gay o evitare di avventurarsi in una sperimentazione antropologica in cui sembra davvero difficile cogliere «il supremo interesse del minore».