François Jullien / Claude Truong-Ngoc / Wikimedia Commons
«Per far accadere costantemente il nuovo è necessario distaccarsi dallo stato anteriore, desolidarizzare rispetto alla sua coerenza, e non perpetuarla. Vivere è de-coincidere' scrive François Jullien, il filosofo e sinologo francese, che in Il gioco dell’esistenza. De-coincidenza e libertà (Feltrinelli, pagine 128, euro 15) affronta un argomento cruciale. «Se de-coincidere – annota il filosofo – implica l’uscire dall’adeguamento a un sé, dal proprio adattamento a un mondo allora significa propriamente esistere ». La de-coincidenza crea così un gap fertile, una lacuna in cui la vita spazia, si completa e si rinnova. Ecco che per Jullien la più alta definizione di vita non è rappresentata dalla coincidenza con se stessa come spesso si crede. E lo stesso avviene per la coscienza che viene a essere solo grazie a uno scarto, a de-coincidenza. È il divario tra la mente e il mondo che consente alla coscienza di esprimersi. Questo è così naturale che spesso viene dimenticato. Senza questo spostamento, l’uomo sarebbe trasparente, permeabile al mondo esterno e agli altri. La de-coincidenza è la rottura con se stessi e con il mondo, è il disadattamento che si apre sull’inalienabile ambiguità dell’esistenza. Crea disagio, dunque, perché ci posiziona all’esterno e ci lascia orfani di ogni attaccamento, stabilità e sicurezza. Così, nel momento di un tanto atteso risultato raggiunto, uno si sente già spinto fuori da esso, di nuovo insoddisfatto, pronto a uno slancio per rinnovare la vita. Tuttavia la de-coincidenza è considerata negativa, un allontanamento da un’assoluta armonia con se stessi e con il mondo, come un tempo auspicavano gli stoici. Perciò François Jullien sfida disegni convenzionali e inverte la gerarchia che ha a lungo dominato la filosofia: il primato della coincidenza sulla de-coincidenza, dello stabile sull’accadere, del razionale sul fortuito. Ma se fosse invece la coincidenza a essere negativa perché immobile e senza via d’uscita? E se il de-coincidere fosse la condizione necessaria della coscienza, dell’esistenza, dell’arte e di tutto ciò che è giusto per l’umano? La coincidenza è l’adeguatezza, certo, ma è anche la paralisi, la conformità, l’impasse: la morte di ogni iniziativa e di ogni accenno di cambiamento. Sotto la sua ombra c’è saturazione, ma ma nella saturazione si genera un malessere che proietta al di fuori dell’adattamento. Per Jul- lien già Lucrezio era in grado di discernere un vuoto, una minima de-coincidenza nella caduta degli atomi. Solo lo scarto dalla traiettoria predefinita permette a loro di scontrarsi, invece di cadere per sempre, coincidere e iniziare una nuova aggregazione. Uno scarto vitale non solo per le esistenze individuali ma anche per quelle collettive. Jullien lo dimostra in L’identità culturale non esiste (Einaudi, pagine 96, euro 12) dove avverte come lo scarto da sé stesse permette di non isolarsi, come accadrebbe parlando di differenza, ma le mantiene «una di fronte all’altra promuovendo un terreno comune». Pertanto, nell’individuale come nel collettivo, per Jullien «in principio era la De-coincidenza», la sola a portare a eterne ricombinazioni, come tanti tentativi di creazione, senza piani prestabiliti o a priori immutabili. Jullien fa leva qui sull’etimologia. Esistere da ex-sistere, tenersi fuori. L’esistenza già dal nome appare l’opposto dell’aderenza al mondo e alla sua logica. È distinguendo che l’umano diventa consapevole, perché la coscienza accade «tramite un’operazione di uscita dall’adeguamento ». Se facciamo caso alla vita di tutti i giorni cerchiamo spesso di de- coincidere per vivere meglio: fare un viaggio per fuggire dal solito ambiente, per cambiare rituali e abitudini, per allontanarsi da una situazione compiendo magari un passo indietro. Porre la de-coincidenza al principio della vita significa squadernare una nuova etica lontana da una morale che cerchi di irretire in schemi prestabiliti. «Quella che ci serve – scrive Jullien – è un’etica che non sia rinuncia ascetica alla vita ma che, invece, sia in grado di dispiegare la vita in esistenza». Adottare questa etica significa abbandonare l’idea di un sé stabile e immutabile. Perché stagnare in un sé prevedibile, senza essere malleabile al cambiamento e quindi al miglioramento, equivale a perdere la vita. «La “follia della Croce” – continua il sinologo e filosofo francese – opposta alla sophia dei greci in quanto, come dice Giovanni, “chi vuole salvare la propria vita” – chi vuole coincidere con essa e aderirvi – “la perde”». La valenza de-coincidente della Parola di Cristo emerge proprio dal quarto Vangelo come François Jullien fa emergere in particolare in Risorse del cristianesimo (Ponte alle Grazie, pagine 118, euro 14). In questa riflessione lo studioso francese, «senza passare per la via della fede», mette in risalto come «la de-coincidenza propria della vita sia al cuore dell’insegnamento di Gesù secondo Giovanni». «Gesù non apre un’altra via, non apporta un altro insegnamento – ricorda Jullien – bensì insegna a passare dall’aderenza con l’essere- in-vita a ciò che fa in modo che la vita sia vita».