Il vescovo Luigi Padovese è stato ucciso a Iskenderun il 3 giugno 2010. In occasione dell’anniversario viene presentato, il 5 giugno alla Pontificia Università Antonianum di Roma "La verità nell’amore" (a cura di Paolo Martinelli, Edizioni Terra Santa, pp. 240, euro 16,50), volume che raccoglie tematicamente le sue omelie e i suoi scritti legati al ministero pastorale in Anatolia. La prefazione è del cardinale Angelo Scola, la postfazione di fra Mauro Jöhri, ministro generale dei Cappuccini. Qui anticipiamo un brano del volume.Sono passati quattro anni da quando don Andrea è stato ucciso. Oggi, come quattro anni fa, ritorna sempre la stessa domanda. Perché? È lo stesso interrogativo che ci poniamo davanti a tante altre vittime innocenti dell’ingiustizia. Perché? Uccidendo don Andrea che cosa si è voluto annientare? La sola persona o anche quello che la persona rappresentava? Certamente nel colpire don Andrea era il sacerdote cattolico che si voleva colpire. Il suo sacerdozio è stato perciò la causa del suo martirio. Attraverso il suo sangue don Andrea ha celebrato con Cristo l’unica Eucaristia: «Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti per il perdono dei peccati». Leggiamo nell’Antico Testamento che il sangue versato chiama altro sangue, ossia si ripaga con la vendetta. Eppure, da quando Gesù è morto in croce, il sangue versato non richiama più alla vendetta, ma al perdono. È un sangue che lava, purifica, dà vita. Perché? La risposta si trova nelle parole di Gesù sulla croce: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno». Se infatti l’avessero saputo non l’avrebbero fatto. Spesso la colpa di chi fa il male sta nella sua cecità o nel ritenere vero e giusto ciò che non lo è. Non è mai giusto sopprimere una vita per affermare un’idea. Non è mai giusto ritenere che chi non la pensa come noi è nel torto e va annientato.Questo è fondamentalismo che distrugge la società perché distrugge la convivenza. Questo fondamentalismo, a qualsiasi religione o partito politico appartenga, potrà forse vincere qualche battaglia, ma è destinato a perdere la guerra. Ed è la storia che ce lo insegna. Il sangue che don Andrea ha versato non è stato inutile. Pensiamo a quanti fratelli e sorelle in tutto il mondo hanno conosciuto il suo sacrificio e sono stati confermati nella volontà di vivere per Cristo e, se necessario, di morire per Lui. Questo umile sacerdote, conosciuto da pochi, con la sua morte è divenuto testimone per molti. Chi voleva farlo scomparire, in realtà ha prodotto l’effetto contrario.Ora, per molti, in tutto il mondo, il nome di Trebisonda è legato a quello di don Andrea. Egli voleva creare in questa città un punto d’incontro e un centro di dialogo tra cristiani e musulmani. Io spero vivamente che un giorno questo suo sogno si possa realizzare e che la città di Trebisonda divenga un esempio di pacifica convivenza e di fraternità dove tutti gli uomini sono uniti nella ricerca del bene comune. Non abbiamo tutti lo stesso Dio? Tra tutti i paesi di antica tradizione cristiana, nessuno ha avuto tanti martiri come la Turchia. La terra che noi calpestiamo è stata lavata con il sangue di tanti martiri che hanno scelto di morire per Cristo anziché rinnegarlo.Una donna cristiana di nome Seconda, vissuta intorno al 170 d.C., a chi la invitava a rinnegare la propria fede per sfuggire alla morte, rispose: «Voglio essere ciò che sono», cioè sono cristiana e voglio rimanerlo. Sappiamo tutti che nel nostro Paese non è sempre facile manifestare la nostra identità cristiana. Siamo condizionati dall’ambiente: a volte abbiamo addirittura paura di dire quello che siamo per le conseguenze sociali che potrebbero derivarne. D’altra parte sta crescendo anche l’impressione che tutte le religioni si equivalgono. Ebbene, è opportuno ricordare che quella cristiana non è la fede nell’esistenza di Dio, ma la fede in una nuova immagine di Dio, rivelata nella persona di Gesù. È Cristo il centro della nostra fede. È Cristo il rivelatore del Padre che ci cerca e ci ama anche quando ci allontaniamo da Lui. La convinzione che i cristiani sono tali non a motivo di “dottrina”, ma per l’adesione alla persona di Gesù, era ben presente nell’antichità agli stessi persecutori, i quali richiedevano ai martiri di rinunciare alla loro fede, maledicendo Cristo. Questa fu l’esperienza del vescovo Policarpo di Smirne. Come leggiamo nel resoconto del suo martirio, il giudice lo incalzava dicendo: «Giura e ti pongo in libertà. Maledici Cristo». Egli rispose: «Sono ottantasei anni che lo servo e non mi ha fatto alcun torto. Come posso bestemmiare il mio Re, il mio Salvatore?».Vi ho ricordato questa testimonianza, ma sono migliaia i martiri della nostra amata terra di Turchia. Essi ci invitano a essere coscienti e felici della nostra identità cristiana. Noi tutti viviamo qui in una situazione di minoranza rispetto ai nostri fratelli musulmani. Io vi invito a guardare a questa situazione come un’occasione per diventare sempre più coscienti della nostra fede. In altri Paesi dove la maggioranza è cristiana, è più grande il rischio di dirsi cristiani senza esserlo. Qui da noi dobbiamo esserlo e mostrare di esserlo. Il nostro impegno non è di convertire altri alla nostra fede, ma di mostrare semplicemente che è bello essere cristiani. Si tratta di parlare con la vita più che con le parole. «Gli uomini – diceva un vecchio saggio – credono più ai loro occhi che alle loro orecchie».