L'amuleto d’argento contenente la lamina - Museo archeologico di Francoforte - Dettmar
La prima testimonianza cristiana a nord delle Alpi: così gli studiosi hanno definito l’amuleto ritrovato a Francoforte nel 2018 e decifrato sei anni dopo. Esposto da mercoledì nella sezione permanente del Museo archeologico della città, il manufatto è composto da un cilindro d’argento di 3,5 centimetri. All’interno, arrotolata e ancora intatta, una sottile lamina dello stesso materiale con un’iscrizione di 18 righe. La scoperta è avvenuta durante gli scavi iniziati nel 2017 nella necropoli di Nida, insediamento romano nell’attuale quartiere di Praunheim. Una delle tombe, risalente a un periodo compreso tra il 230 e il 260 d.C., conservava lo scheletro di un uomo tra i 35 e i 45 anni. Posizionato sotto al mento, originariamente legato al collo con un cordino, gli archeologi hanno rinvenuto l’amuleto. Oggetti come questo, noti come filatteri, erano indossati per proteggere da malattie, disgrazie e demoni.
L’eccezionalità della scoperta riguarda la datazione. Il manufatto è del III secolo d.C., ma le testimonianze cristiane rintracciate finora nelle regioni dell’Impero romano a nord delle Alpi sono attestate almeno a un secolo dopo. Inoltre, in quel periodo, professare il cristianesimo in territorio romano era rischioso, con i fedeli perseguitati e costretti alla clandestinità.
La lamina scoperta durante gli scavi iniziati nel 2017 nella necropoli di Nida, insediamento romano nell’attuale quartiere di Praunheim, srotolata digitalmente con il testo inciso - Leiza
Dopo il ritrovamento, l’amuleto è stato restaurato al Museo archeologico di Francoforte. Gli studiosi hanno effettuato le prime analisi nel 2019, attraverso esami al microscopio e scansioni ai raggi X che hanno mostrato la presenza dell’iscrizione. Fino allo scorso maggio, però, non è stato possibile decifrarla: il manufatto è rimasto sottoterra per 1.800 anni e la fragilità della lamina rendeva necessario trovare una tecnica che permettesse di leggerla senza dispiegarla, in modo da non danneggiarla o romperla. I ricercatori si sono quindi affidati al Centro di archeologia di Leibniz (Leiza) a Magonza, dove il sottile foglio è stato sottoposto a tomografia computerizzata per «srotolarlo digitalmente», come ha spiegato la responsabile del dipartimento culturale Ina Hartwig. Le immagini ad alta risoluzione e un modello virtuale tridimensionale hanno consentito di unire i singoli segmenti e rendere leggibili tutte le parole. Le diciotto righe sono state successivamente decifrate da Markus Scholz, docente di Archeologia e storia delle province romane all’Università Goethe di Francoforte.
I testi incisi su oggetti simili sono solitamente riportati in più lingue. Quello di Francoforte, invece, è scritto soltanto in latino. «In genere, tali iscrizioni sono in greco o in ebraico – ha specificato Scholz –, perciò si tratta di un ritrovamento insolito». Il contenuto, inoltre, cita unicamente Cristo, altra caratteristica inconsueta: fino al V secolo, la maggior parte di questi amuleti menziona divinità diverse, con influenze giudaiche e pagane. A essere atipico è anche il luogo in cui il manufatto è stato scoperto: secondo l’archeologa biblica Tine Rassalle, oggetti di questo genere erano diffusi soprattutto nel Mediterraneo orientale. Un amuleto analogo, infatti, è stato rivenuto in Bulgaria nel 2023.
Alcuni passaggi dell’incisione contengono frasi e formule che cominciarono a circolare soltanto decenni dopo. Ne è un esempio il riferimento iniziale a san Tito, discepolo e confidente dell’apostolo Paolo. Lo stesso vale per l’invocazione, «Santo, santo, santo!», nota nella liturgia cristiana a partire dal IV secolo. Alla fine, è presente anche la prima citazione della Lettera di san Paolo ai Filippesi. L’alto livello del testo fornisce alcune indicazioni sull’autore, probabilmente uno scriba con ottime conoscenze della Bibbia. La traduzione di Scholz, però, non è definitiva: il dibattito sulla valutazione complessiva del suo significato è ancora aperto, anche perché alcuni passaggi sono andati perduti.
A oggi, la trascrizione più accreditata è: «[Nel nome] di San Tito. Santo, santo, santo! Nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio! Il Signore del mondo resiste [al meglio delle sue possibilità] a tutti [gli attacchi/ostacoli]. [Dio] garantisce l’accesso al benessere. Possa questo mezzo di salvezza proteggere chi si abbandona alla volontà del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, poiché davanti a Gesù Cristo tutte le ginocchia si piegano: i celesti, i terrestri e i sotterranei, e ogni lingua confessa [Gesù Cristo]». Gli studiosi sono d’accordo sulla rilevanza di queste 18 righe per la ricerca sulla diffusione del Cristianesimo durante il dominio romano sulla riva destra del Reno.