domenica 2 marzo 2025
La malattia non toglie nulla alla nostra dignità, come ci mostra il pontefice, che non ci è apparso mai così grande come nella fragilità di questi giorni
In preghiera per il Papa davanti al Gemelli

In preghiera per il Papa davanti al Gemelli - ANSA

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C’è qualcosa che non manca di stupirci nel mistero della malattia, quando l’uomo percepisce la sua fragilità e intuisce che anche chi si prende cura di lui non ha più quella sicurezza su cui si è appoggiato fino ad allora. È il momento dello smarrimento, della solitudine, forse della paura, a cui fa eco con forza la nostalgia di Dio, che si risveglia con forza, come un’ancora di speranza e di salvezza, anche in chi forse credeva di non avere abbastanza fede, ma scopre che la speranza invece conserva intatta tutta la sua forza.

Penso che il dono maggiore che papa Francesco ci ha fatto con la sua malattia è l’averci mostrato una volta di più la forza e la potenza umana e soprannaturale della preghiera. Tutti speriamo che il Papa guarisca e, una volta di più, abbiamo scoperto di aver bisogno di Dio per ottenere quella grazia. Non ci siamo rassegnati neppure per un attimo a perdere il Papa in un momento in cui il mondo attorno a noi sembra andare in crisi su tanti fronti.

Sappiamo di aver bisogno di Francesco, di questo Papa, della sua catechesi incessante, che ci parla di pace, di misericordia, di accoglienza, di tenerezza verso gli ultimi, i più sofferenti... E mentre proprio lui ci sembrava il più sofferente tra i sofferenti e il suo corpo rispondeva a fatica alle terapie, il bisogno di pregare per lui è diventato inarrestabile. Piazza San Pietro si è riempita di fedeli, e con le corone in mano abbiamo ripetuto con struggimento: «Prega per noi, adesso, adesso stesso...», cercando di allontanare il momento della morte.

Ora il Papa, ringraziando Dio, sembra che abbia superato le crisi più acute e, almeno per questa volta, pur rimanendo in prognosi riservata, il pericolo si sia allontanato, forse non definitivamente, ma ci piace pensare che il miracolo sia frutto della nostra preghiera e del nostro affetto per lui.

Un miracolo di fraternità: tutti uniti nella preghiera. Cor unum et anima una, abbiamo sperato e creduto che il miracolo si potesse compiere. E proprio l’unità della Chiesa orante, così tangibile, così concreta, avrà fatto sentire al Papa come la sua mission di paternità – lui è il santo Padre –, aveva raggiunto un obiettivo importante, che a volte sembra irraggiungibile. Soprattutto quando assistiamo a guerre e divisioni; a conflitti aperti e incomprensibili, a tante lotte di potere e di sopraffazione.

E molti di noi, soprattutto di quanti almeno una volta abbiamo fatto esperienza di una malattia grave, ci siamo trovati a ripensare, a rivivere con intensità, momenti analoghi di spaesamento, forse di paura, davanti alla nostra personale fragilità, consapevoli che la scienza ha ancora i suoi limiti e molte sfide sono ben lungi dall’essere vinte. E allora abbiamo toccato con mano quanto bene ci abbia fatto il calore dell’amicizia, il sostegno della preghiera: la nostra e quella di chi ci stava accanto. Abbiamo sentito che un filo diretto ci teneva vincolati al Signore e che alla sua misericordia occorreva ricorrere per sperare nel miracolo.

La malattia del Papa, con i suoi dubbi e le sue incertezze, con quella domanda costantemente sospesa nell’aria: ce la farà o non ce la farà, ci ha aiutato a ricordare e ad attualizzare i momenti più acuti della nostra fragilità, quando la nostra autonomia può far ben poco se non è supportata dall’amore e dalla tenerezza di chi si prende cura di noi. Personalmente ricordo come proprio in queste condizioni anche il silenzio, i momenti di solitudine, possono diventare momenti concreti per sperimentare una intimità con il Signore fatta allo stesso tempo di abbandono e di richiesta, un po’ sulla falsariga della preghiera di Gesù sulla croce.

Quella straordinaria, apparente, contraddizione di cui non finiremo mai di essergli grati, per cui ha potuto dire al tempo stesso: «Si faccia la tua volontà e – subito dopo – Allontana da me questo calice... ». Probabilmente anche papa Francesco, nella sua preghiera, ha alternato momenti di abbandono alla volontà di Dio, colmi di fiducia in lui, e allo stesso tempo avrà cercato di trasmettergli la consapevolezza di quanto e come il mondo abbia bisogno di lui. Proprio in questo momento in cui la pace forse è un po’ più vicina, ma nessuno ne ha piena certezza, e i dubbi si affollano nella mente e nel cuore di tutti noi. Mi piace pensare che anche il Papa abbia pregato Dio di concedergli ancora un po’ di tempo per sistemare tante cose rimaste in sospeso, proprio a cominciare dalla pace e da una rinnovata fraternità tra i popoli.

La malattia in certi momenti può apparire, e di fatto per alcune persone lo è davvero, come una vera e propria Via Crucis; ma proprio per questo permette di fare una grande esperienza di amicizia, umana e divina al tempo stesso, se abbiamo la fortuna di non rimanere soli e di poter contare su qualcuno che si prenda cura di noi. Non lasciare solo chi soffre, per qualsiasi motivo, è una grande opera di misericordia e tutti ne abbiamo estremo bisogno, sperimentarlo ci rende più umili, ma anche molto più umani. E non toglie nulla alla nostra dignità, come ci mostra papa Francesco, che non ci è apparso mai così grande come nella fragilità di questi giorni.

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