Ansa
Per il piccolo Comune di Sanremo il Festival non è tutto, ma poco ci manca. Tra staff Rai, cantanti e ospiti con relativi entourage, spettatori, giornalisti e semplici turisti in questa settimana arrivano in città più di 40mila persone. E Sanremo, che di abitanti ne ha meno di 55mila, si prepara all’incasso.
Secondo Banca Ifis, che da tempo approfondisce il ruolo economico della cultura in Italia, il Festival è un ottimo esempio di valorizzazione di un evento culturale attraverso collaborazione tra amministrazione pubblica e operatori privati. La banca, che a sua volta è sponsor di “Casa Sanremo”, calcola ricadute economiche da 18,4 milioni di euro sul territorio ligure.
Cinque milioni di euro sono quelli che la Rai verserà direttamente al Comune, e fanno circa il 5,2% degli incassi del Municipio per l’intero 2023. A questi si aggiungono le spese per hotel e appartamenti (8,8 milioni di euro), quelle per i pranzi e le cene (2 milioni), altri 2 milioni di euro tra shopping e incassi dei biglietti venduti (una poltrona in platea per le cinque serate costa 1.290 euro, che scendono a 672 per un posto in galleria) e 600mila euro per gli spostamenti. È in questa settimana che i bar, ristoranti, gli alberghi e i negozi di Sanremo fanno il grosso degli incassi dell’anno.
Il Festival è fondamentale anche per i conti della Rai. L’ultimo bilancio approvato dall’emittente pubblica, quello del 2021, mostra incassi pubblicitari complessivi da 590 milioni di euro. Di questi 42 milioni sono arrivati con Sanremo, che è stata la quarta trasmissione più guardata dell’anno, dopo Italia-Inghilterra degli Europei, Italia-Irlanda del Nord delle fallite qualificazioni ai Mondiali, il messaggio del presidente della Repubblica per l’ultimo dell’anno. Gli incassi sono in aumento in parallelo con il successo di spettatori del Festival.
Le stime per questa edizione parlano di entrate pubblicitarie vicine ai 50 milioni di euro complessivi, anche grazie alle «partnership», come ha spiegato Giampaolo Tagliavia di Rai Pubblicità. Tra queste partnership quella con Costa Crociere, con ospiti in collegamento da una nave, con Suzuki, che ospiterà cantanti fuori concorso in Piazza Colombo, e Plenitude Eni, che farà sfilare i concorrenti su un tappeto verde in chiave sostenibile.
Tra gli altri partner del festival ci sono anche Poltronesofà, VeraLab e Sephora. Rai Pubblicità conta 161 brand che hanno pianificato investimenti per il Festival sui vari media dell’azienda. Sanremo, per chi investe in pubblicità, è il Superbowl italiano: niente costa di più. Il massimo della visibilità strettamente pubblicitaria è offerto dalle telepromozioni, che spesso coinvolgono direttamente i presentatori del Festival: saranno trasmesse alle 23.35 in ognuna delle 5 serate, il prezzo di listino di Rai Pubblicità è di 2.180.000 euro.
Costose anche le billboard, cioè le sequenze video da 4 secondi (quelle con la scritta “presentato da”) all’inizio e alla fine del Festival e dell’Anteprima. Per i 16 passaggi nelle puntate dell’Anteprima, iniziate già sabato e in onda dopo il Tg1, servono 537.900 euro, per le 10 billboard nelle cinque serate del Festival ne occorrono 286.500. Per gli spot durante gli intervalli la tariffa varia in base a serata e orario: si va da un minimo di circa 95mila euro per 30 secondi verso le 23.55 delle serate più “mosce” (mercoledì a venerdì) ai 413.225 euro per due spot da 30 secondi da trasmettere nella serata della finale verso le 22.45 e a mezzanotte.
Chiaramente gli spot all’inizio o alla fine dell’intervallo pubblicitario costano di più. Il “pacchetto” più costoso proposto dalla Rai è quello per 2 passaggi da 15 secondi a serata tra le 22.45 e la mezzanotte: fanno 1,8 milioni di euro. Dai numeri comunicati, gli inserzionisti non si sono comunque tirati indietro.
Sommando incassi dalla pubblicità e ricadute sul territorio, Banca Ifis valuta in 60 milioni di euro il totale dei ricavi che il Festival è in grado di generare. Se Sanremo è così “ricco” è perché è la musica italiana quella che gli italiani vogliono ascoltare. Nella classifica 2022 dei brani e degli album più ascoltati in Italia ci sono solo artisti italiani.
E Sanremo domina: le canzoni del Festival occupano quattro delle prime dieci posizioni, con la vincitrice Brividi al primo posto. Questa predilezione per gli artisti di casa, nota la Siae in uno studio pubblicato pochi giorni fa sull’export della musica italiana, «non è un segnale di per sé positivo, rivela una certa chiusura (anche mentale). Ma potremmo anche dire che con tutta la musica nuova che percorre la Penisola, il pubblico non sente una grande necessità di guardare fuori».
Il disinteresse purtroppo è reciproco. Anche dal resto del mondo non sono molto interessati ad ascoltare la musica italiana. Al di là del successo globale dei Måneskin, che sono italiani ma sono difficilmente inquadrabili come “musica italiana”, il riscontro all’estero è scarso. Tra le dieci canzoni italiane più ascoltate nel mondo nel 2021 ci sono ancora classici come Volare (del 1958) , Tu vuò fa l’americano (1956) o Con te partirò (1995). Il resto è ancora Måneskin e poi l’eredità della grande dance degli anni Novanta, con Blue degli Eiffel 65 nelle sue varie cover, l’eterno Gigi d’Agostino e il produttore Pasquale Di Fonzo, che con la dance 1,2,3,4 firmata Funbeat (del 2013) è diventato di moda su TikTok.
In questo scenario non può sorprendere che come dimensione del mercato musicale l’Italia sia solo decima al mondo, dietro anche a Canada e Australia, due Paesi che, insieme, non fanno la popolazione italiana. Per fortuna la crescita c’è. I ricavi dell’industria discografica italiana nel 2021 sono ammontati a 332 milioni di euro, in aumento del 27,8%, secondo le rilevazioni della Federazione industria musicale italiana (Fimi). Anche nella prima parte del 2022 si è registrato un aumento a doppia cifra (+17,2%), con 153,2 milioni di euro di incassi, di cui 25,5 da cd e vinili, 119 dallo streaming e 6,5 dall’uso delle canzoni per film e pubblicità.
Mancano ancora i dati, ma ovviamente si conta anche sulla ripresa del settore dei concerti, che a causa del Covid era crollato disastrosamente (453 milioni di euro di incasso nel 2019 per i concerti di musica leggera, solo 86,8 milioni nel 2021). «Il settore della produzione musicale indipendente ricopre un ruolo fondamentale per lo sviluppo della produzione musicale e fornisce un contributo importante all’economia italiana» dice Sergio Cerruti, presidente dell’Afi, l’Associazione fonografi italiani: secondo le stime dell’associazione la musica nel 2019 ha generato 442,3 milioni di euro di Pil in Italia, di cui 153,1 milioni prodotti dalla musica “indipendente”, sostenendo l’occupazione di 4.443 persone. Si può fare di più ma, piaccia o meno, molto dipende, ancora, da Sanremo.