Impossibile far finta di niente: quella andata in onda martedì sera è stata una delle sfide televisive più attese della stagione. Parliamo della programmazione, in contemporanea, di
Ballarò su Raitre, con la nuova conduzione di Massimo Giannini, e di
diMartedì su La7 con Giovanni Floris al suo debutto in prima serata dopo l’arrivo dalla terza rete. Gli ascolti, è doveroso segnalarlo subito, al momento hanno dato ragione a Giannini che, con una roboante campagna pubblicitaria e l’intervento in apertura di Roberto Benigni, è riuscito a mettere insieme davanti alla tv due milioni e mezzo circa di spettatori, pari all’11,76% di share con grande soddisfazione dichiarata dal direttore generale della Rai Claudio Gubitosi e daldirettore di Raitre Andrea Vianello. Peggio è andata a Floris che, pur avendo coinvolto nel trasloco sulla rete di Cairo anche Maurizio Crozza (con le sue copertine) e Nando Pagnoncelli (con i suoi sondaggi), si è fermato al 3,47%, coinvolgendo solo 755 mila spettatori. Le cifre di Floris, in realtà, erano piuttosto prevedibili. Lui stesso, presentando il nuovo programma, aveva detto: «Se dovessi partire con la metà del pubblico che avevo a
Ballarò, sarebbe già un successo». A quella metà manca, giusto, una metà e, per cantare vittoria, il giornalista dovrebbe convincere un altro 3% di pubblico del martedì sera che varrebbe la pena seguirlo su La7 dove peraltro, al di là di qualche cambiamento, persino le poltrone in studio erano simili a quelle di
Ballarò. Messi da parte per qualche minuto i numeri, tuttavia, la riflessione che si impone è un’altra e riguarda la mole (perché di questa, ormai, si tratta) di talk show di approfondimento politico che affollano letteralmente i palinsesti televisivi. Non c’è giornata che non inizi e finisca con l’intervento, su questa o quell’altra rete televisiva, di rappresentanti della politica che, pur avendo il nostro Paese un Parlamento ben nutrito, finiscono per essere più o meno sempre gli stessi. Per verificarlo, basta prendere un palinsesto televisivo di qualsiasi settimana e iniziare a scorrere i programmi dal lunedì: i giorni feriali la tele-maratona comincia già dalla mattina presto con
Omnibus (La7) e
Agorà (Raitre) per proseguire, poi, con
L’aria che tira (sempre su La7). Dopo che, tutti i telegiornali hanno proposto e riproposto le dichiarazioni di deputati e senatori sui temi caldi della giornata, arriva Giovanni Floris con il suo
diciannovEquaranta, seguito dalle edizioni serali dei tiggì. Dopodiché si passa a
Otto e mezzo di Lilli Gruber e ancora bisogna arrivare alla prima serata. Che, nell’ordine, offre: il lunedì
Piazzapulita di Corrado Formigli (La7) e
Quinta colonna di Paolo Del Debbio (Retequattro); il martedì
Ballarò (Raitre) e
diMartedì (La7); il giovedì
Servizio Pubblico di Michele Santoro (La7) e
Virus di Nicola Porro (Raidue); la domenica
La gabbia di Gianluigi Paragone. La seconda serata, invece, è dominio incontrastato di
Porta a porta di Bruno Vespa (Raiuno) e
Matrix di Luca Telese (Canale 5). Per chi non ne avesse ancora abbastanza ci sono anche
In mezz’ora di Lucia Annunziata (la domenica pomeriggio su Raitre) e gli speciali di
Bersaglio mobile che Enrico Mentana conduce saltuariamente su La7. Considerato che si tratta di quindici programmi e che ciascuno, a parte quello della Annunziata, ha come minimo due o tre ospiti, è facile immaginare non solo una certa inflazione degli stessi ospiti che passano da un salotto televisivo all’altro ma anche una comprensibile stanchezza degli spettatori che, già da qualche tempo, stanno manifestando una certa disaffezione. Complice, probabilmente, anche la moltiplicazione dei canali digitali terrestri, che sottraggono pubblico alle reti generaliste, non si può non registrare un calo generalizzato degli ascolti dei talk show di cui abbiamo detto: dalla scorsa domenica, nessuno di questi programmi ha superato il 10% di share: lunedì
Piazzapulita si è fermato al 4,59% e
Porta a porta al 7,30% e degli ascolti di martedì abbiamo già detto, con l’aggiunta di
diciannovEquaranta che, con la sua cadenza quotidiana, non è ancora riuscito a raggiungere il 2%. Davanti a questi dati, si impone una domanda: ha ragione chi dice che la soluzione è nel provare a cambiare la formula un po’ desueta dell’approfondimento politico in tv o sarebbe meglio ridurre il numero dei programmi? Una risposta la dà il presidente dell’Aiart Luca Borgomeo: «Il pubblico ha raggiunto il massimo della ricettività nei confronti dei talk show politici. La politica interessa relativamente, i telespettatori vogliono soprattutto inchieste sulla vita reale e non rappresentazioni di chi sta nel “Palazzo”».