sabato 4 gennaio 2025
Il sociologo e filosofo tedesco Hartmut Rosa:«La religione è apertura e può agire positivamente. Ma non se diventa fondamentalismo. Serve energia sociale per superare i muri, creare partecipazione»
Hartmut Rosa

Hartmut Rosa - Unesco

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«Imparare a scavalcare gli steccati fra noi e gli altri è un ottimo modo per liberarci dai condizionamenti sempre più pressanti del nostro mondo moderno accelerato. Solo così potremo entrare nel vivo di un’energia sociale intimamente emancipatrice». Il noto sociologo e filosofo tedesco Hartmut Rosa, docente a Jena, è giunto a Parigi come ospite d’onore della Giornata mondiale della Filosofia, promossa e celebrata dall’Unesco. Dopo aver esplorato i concetti di “accelerazione” e “risonanza”, la nuova tappa della sua riflessione ruota attorno all’energia sociale, come ci ha spiegato dopo un intervento molto applaudito nella più vasta sala dell’organizzazione internazionale. Fra le opere pubblicate in Italia, figura pure Indisponibilità. All’origine della risonanza (Queriniana).

Lei sostiene che la nostra società è prigioniera dell’accelerazione. In che senso?

«Abbiamo creato un mondo sociale dominato dalle ingiunzioni crescere, accelerare, innovare. Insomma, progredire, avanzando sempre. L’idea era che crescere risolverà la povertà. L’innovazione e la scienza risolveranno l’ignoranza. La velocità risolverà la penuria di tempo. In questa visione, essere efficienti equivale a una vita libera, senza paure e patemi. Sono i tratti caratteristici delle modernità dal Settecento in poi. Ma oggi, possiamo chiederci se questi tratti corrispondono davvero a come funzioniamo in quanto esseri umani. Il 70% dei genitori pensano ormai che i loro figli vivranno in un mondo peggiore. Attorno a noi, ci accorgiamo d’una dispersione d’energia sociale. Eppure, ci viene chiesto di correre ancor più in fretta, senza che ciò corrisponda a un progresso percepito. Lo scenario non pare più edificante».

La distruzione della natura è legata a quest’accelerazione?

«Il bisogno d’accelerare instaura un duplice problema di tipo energetico, direi: da una parte, estrarre e consumare risorse a ritmi forsennati stravolge gli habitat, come mostra pure la crisi climatica; dall’altra, è a rischio la nostra energia e natura interiore, per via dell’ingiunzione di correre sempre più in fretta senza potersi scostare da questo schema. Correre senza guadagnare nulla genera alienazione».

Per lei, spuntano persino «mostri» legati a certe pieghe non auspicate della modernità...

«Un obiettivo della modernità era pure quello di accrescere di continuo la nostra capacità di controllo o dominio. Cerchiamo di farlo con il nostro habitat ristretto quotidiano, attraverso climatizzatori e tanti altri strumenti. Lo stesso vale con la natura, come nel caso della fissione degli atomi. O ancora vale con il nostro corpo, attraverso il controllo dei suoi parametri, come pressione sanguigna, battito cardiaco, ossigenazione ecc. Ma eventi come la pandemia ci hanno mostrato che s’accentua, su grande scala, la nostra perdita di controllo. Lo stesso vale per gli spettri o “mostri” di una catastrofe nucleare, del cambiamento climatico, di una conflittualità bellica generalizzata. Le nostre pretese di controllo vengono così vanificate».

L’opposto di queste involuzioni, dunque forse pure la radice di possibili soluzioni, è ciò che lei chiama “risonanza”. È la ricerca d’un cammino di saggezza?

«Sempre più persone percepiscono che c’è qualcosa di sbagliato, perché la vita umana non è fatta per obbedire a un’accelerazione continua. Si avverte una distorsione nel nostro modo di stare al mondo. Con risonanza, intendo innanzitutto la nostra propensione a legarci agli altri esseri umani. Ciò significa che quanto ascolto e vedo, ciò che incontro è capace di toccarmi intimamente, ha senso per me, mi smuove, risuona in me. Bruno Latour direbbe che tutto questo “mi chiama”. In secondo luogo, intendo il fatto che sono capace di rispondere a ciò, di fare qualcosa con ciò, in tal modo trasformandomi, non rimanendo lo stesso. Questo è il modo in cui giovani e anziani si sentono vivi: le cose mi parlano e comincio a farne qualcosa. È uno scambio dinamico, un potenziale che ci gratifica attraverso una forma positiva e apprezzata di non controllo totale, d’indisponibilità benvenuta».

In questa chiave, lei ha parlato anche del sostegno che la religione può offrire alla vita democratica...

«Considero che la religiosità abbia un doppio volto, un po’ come Giano, la divinità romana. Può sostenere la democrazia, ma talora pure ucciderla. Per me, la democrazia può funzionare solo se è concepita e vissuta come un processo di risonanza. Insomma, saper ascoltare e interagire pienamente anche con chi è diverso da me, con chi ama, crede, vive diversamente da me. Ciò richiede di adottare un habitus, come diciamo in sociologia, che ha a che vedere con il sentirsi chiamati verso qualcosa di diverso. La democrazia non richiede semplicemente di poter seguire la propria logica, ma di aprirsi alle chiamate che percepiamo. In proposito, la pratica religiosa corrisponde per me proprio al mettersi in questa posizione di apertura verso ciò che può chiamarci. Quando si entra in un luogo di culto, che si creda o meno, ci si apre a una forma diversa di stare al mondo, ci si lascia avvolgere da una specie di mantello che ci viene porto. Pregare, poi, significa stare in questo mondo invocando un’altra dimensione fuori da questo mondo e non disponibile. Per questo, si tratta di una condizione segnata dalla risonanza. Ovviamente, ciò non vale quando un fondamentalismo qualsiasi impone autoritariamente un messaggio a senso unico. Ciò, al contrario, annienta la risonanza, minando pure la base democratica di una società».

Lei è a Parigi per la Giornata della Filosofia, il cui tema è quest’anno il superamento dei fossati sociali. Cosa pensa del valore educativo odierno della filosofia?

«La filosofia è certamente pure un modo di stare al mondo, nel senso della capacità di auto-interpretare quanto facciamo. A livello educativo, può aiutarci molto ad aprirci alla diversità dei modi di vivere e pensare. Soprattutto la filosofia fenomenologica, attenta a ciò che ci circonda. Sul tema dei fossati sociali, direi che molto spesso sperimentiamo differenze con gli altri e solo di rado consonanze. Ma in ogni caso, possiamo vivere forme di risonanza, poiché quest’ultima non è affatto un sinonimo di consonanza. La risonanza è ciò che sta fra consonanza e dissonanza. In questo senso, sì, con un atteggiamento filosofico, possiamo provare a riconsiderare i fossati sociali, lasciandoci trasformare e trovando punti d’incontro. Una strada per cercare di cambiare davvero le nostre società in profondità».

Cambiarle, più in generale, instaurando ciò che lei chiama energia sociale?

«Sì, direi che è la mia speranza. Creare energia sociale significa nutrire giorno dopo giorno un senso di partecipazione. In modo da usare il mondo assieme agli altri, sentendosi così parte del mondo, al posto di credersi proprietari unici di un pezzo del mondo. L’energia sociale circola attraverso la partecipazione, quando scavalchiamo gli steccati fra noi e gli altri, al posto invece di crearne».



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