Don Alberto Zanini - Ares
Ci sono grandi uomini e uomini grandi. I grandi uomini sono i protagonisti citati nei libri di storia, gli uomini grandi invece sono quelli che nessun manuale citerà mai eppure con la loro testimonianza, nella loro semplicità, possono contribuire anche loro a scrivere la storia. È il caso di don Alberto Zanini, sacerdote originario di Monterosso al Mare, nelle meravigliose Cinqueterre spezzine, scomparso prematuramente in un incidente sul Monte Sangro, nelle Alpi Apuane, nell’ormai lontano 1992. Ma il suo ricordo, nel tempo, invece di affievolirsi, si consolida, si corrobora di nuovi nuove testimonianze l’aura di santità che accompagnò sin da subito la sua drammatica fine, a soli 36 anni. Cronaca di una nascita. Don Alberto Zanini, di Pierluigi Castagneto (edizioni Ares, 120 pag, 13,00 euro) non è il primo libro che esce su di lui, la bibliografia ne conta già 4, ma il quinto fissa e raggiunge due obiettivi. Innanzittuto mette insieme le testimonianze dei vescovi di allora e dell’attuale (a conferma di una memoria che dura nel tempo) ma soprattutto racconta con tutta la precisione possibile gli ultimi momenti di quella sera drammatica del 19 marzo, e anche se qualche particolare resta avvolto nel mistero un elemento balza agli occhi e arricchisce la memoria del sacerdote spezzino: non è morto per una temerario sprezzo del pericolo fine a sé stesso, ma per portare aiuto ai suoi ragazzi in difficoltà, e scivolando nel vuoto, nel buio e nel freddo di un crepaccio, ha trovato la fine dei suoi giorni terreni. Don Zanini è morto così come è vissuto, e il racconto della sua fine è il coronamento di un’esistenza vissuta nella triplice dimensione, di parroco a Vernazza, di docente di religione a Sarzana e a La Spezia, e di animatore degli studenti di Comunione e Liberazione, anche nella vicina università di Pisa. Una triplice dimensione della sua vocazione sacerdotale che trovava una consistenza unitaria nella massima di San Gregorio Nazianzeno a lui tanto cara: «Se non fossi tuo mio Cristo, mi sentirei creatura finita». I segni del destino per lui si possono cogliere già nel paesaggio mozzafiato dei luoghi. Dalla sponda del fiume Magra che segna il confine di regione si vede distintamente il Monte Sagro dove ha perso la vita e la catena delle Alpi Apuane imbiancate tutto l’anno dalle cave di marmo. E a Bocca di Magra, sulle sponde della foce del fiume, ha la sua bottega di venditore ambulante di crepes Leonardo Marino, il pentito del caso Calabresi dalla cui rivelazioni è scaturita l’accusa per Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietristefani che ha riaperto, e chiuso, il caso Calabresi. Un omicidio che inaugura la stagione degli anni di piombo e che sarebbe rimasto nel chiuso del vincolo di omertà al quale era consegnato il Servizio d’ordine di Lotta Continua, che ha ideato ed eseguito l’agguato, se non ci fosse stata la confessione di Marino. Di lui e delle ragioni della sua deposizione ai carabinieri è stato detto di tutto: si è parlato di soldi, di vendetta contro Sofri, il “cattivo maestro” che si era dimenticato di lui. E invece c’entra anche don Alberto Zanini. Docente di religione dei suoi figli al liceo di Sarzana, li prese a cuore gratuitamente, “fuori ordinanza”, in quanto non battezzati, e questo toccò il cuore del padre, che dopo aver studiato dai salesiani a Torino, si era allontanato dalla fede, per privilegiare la lotta di classe da operaio rivoluzionario a Mirafiori. Marino a un certo punto decise di confessarsi, per togliersi un così grave peso sulla coscienza. Don Alberto lo accompagnò da un sacerdote-eremita della zona, don Giovanni Bozzo, e alla fine, solo alla fine di un lungo percorso, ci fu la confessione ai carabinieri, a Milano. Ancora oggi a nominargli don Alberto, al suo chiosco, Leonardo Marino usa per lui parole di grande affetto e gratitudine. Si tratta solo del caso più eclatante, ma sono in tanti - decine, centinaia - ad aver incrociato la sua passione educativa, il suo slancio entusiasta nell’imitazione di Cristo appreso nel movimento di don Luigi Giussani, fino a quell’ultima sera, ora narrata da Castagneto con l’aiuto della sorella, Beatrice Zanini, e con l’ausilio di particolari rivelatori. Era stato lui a proporre per il 19 marzo, in occasione della festa di San Giuseppe, patrono di La Spezia, un’escursione alle sue amate Alpi Apuane per i ragazzi di Gs, filiazione studentesca di Comunione e Liberazione. Al ritorno però qualcosa va storto, la colonna si spacca in due tronconi, alla ricerca del sentiero giusto. Don Alberto ritrova la strada, torna indietro a indicarla anche agli altri, ma alcuni di loro sono in difficoltà, mentre il freddo aumenta, la visibilità inizia a scarseggiare, e nel tentativo di aiutare Anna, una studentessa che ha perso aderenza sulla neve, don Alberto scivola a sua volta, cade di schiena, si aggrappa a un ramo, che però maledettamente cede, e cade verso il precipizio, dove verrà recuperato dai soccorsi solo a notte fonda. Messo sulla barella ancora vivo ma in fin di vita per i colpi subiti, in particolare alla testa, e per il freddo patito, don Alberto morirà prima di poter essere sottoposto alle cure disperate di cui avrebbe necessitato. La memoria di don Zanini viene rinverdita a ogni anniversario della morte, il 20 marzo, nella parrocchia del suo paese, Monterosso al mare, dove è sepolto, e dove è suggestivo persino il cimitero, nell’antico castello, sospeso fra montagna e mare. Se ne occupa stabilmente l’associazione “don Alberto Zanini”, con sede a Chiavari, costituita nel 2006, ma a a lui è intestato anche un centro culturale fondato nel 1997, che ha sede a La Spezia. Per lui, mentre è stato avviato il processo di canonizzazione, hanno speso parole significative i vescovi che l’hanno conosciuto. Monsignor Siro Silvestri, allora emerito di La Spezia, al funerale, il 21 marzo 1992, da presule che aveva visto nascere la sua vocazione, si chiese con parole accorate, colme si stima e affetto, il perché di una tragedia così grande, «mentre sentiamo il bisogno di preti come dell’aria che respiriamo e del pane che ci nutre». Un appassionato di Cristo, lo definì l’allora vescovo di La Spezia, monsignor Siro Silvestri, in quella stessa cerimonia, ricordando anche lui la frase di San Gregorio Nazianzeno cara a don Alberto, che di fronte alla «prospettiva certa» della morte aveva addirittura lasciato, ancora giovane, fra le istruzioni per l’uso da citare al suo funerale, fra tanti canti «specialmente polifonici». E, come come sottolinea l’attuale presule di La Spezia-Sarzana-Brugnato Luigi Ernesto Palletti nella prefazione, nel racconto di quelle sue ultime ore si può leggere, in don Alberto «tutta la dinamica di una vita». Spesa per gli altri, in Cristo, col sorriso perennemente stampato sul volto, come marchio di fabbrica.