Uno scorcio di Pietrelcina, in provincia di Benevento, paese natale di San Pio - Carlos Solito
Chi ha camminato sui sentieri della fede del Santo di Pietrelcina si è sentito riscaldato e rinforzato nell’anima e poi illuminato da una luce del tutto nuova. Persino un gaudente come Gabriele D’Annunzio deve aver provato queste emozioni se in una lettera spedita all’indirizzo del Santo scrive salutandolo come «Sua purità e Suo acume di veggente». E quel cammino, che va dal piccolo borgo del beneventano, dove Padre Pio, il futuro Santo, nel 1887 venne battezzato come Francesco Forgione, fino a San Giovanni Rotondo, il Santuario in cui morì nel 1968, è un percorso prima di tutto spirituale che si snoda per oltre 630 km. Un viaggio della speranza, per chi ce l’ha già nel cuore o magari quella ritrovata dall’uomo in cerca di Dio, dal pellegrino che decide di attraversare le regioni della Campania, Molise e Puglia. E di questo viaggio dell’anima ne è testimone diretto lo scrittore, regista e fotoreporter Carlos Solito, apolide nato a Grottaglie, che lo ha descritto con testi e immagini nel suo ultimo reportage Il cammino di Padre Pio. Da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo (San Paolo, pagine 128, euro 12,90). Un cammino sulle orme indelebili di San Pio, iniziato dopo una crisi esistenziale. «Ma sì sa, il dolore e il fallimento sono sempre la premessa a una festa - spiega Carlos Solito -. La mia, piano piano, dolcemente, ha iniziato a musicare, col rumore dei miei passi. Per un viaggio, l’ennesimo. Per un cammino che è stato liturgia dell’incanto, una maniera mia (e di molti altri prima di me) di riappropriarsi della spiritualità, spogliarsi, resistere. Camminare è un atto etico ed eroico, eversivo e paziente, addomestica l’animale che ci abita».
Pacificato dal lungo cammino l’autore aveva come punto di partenza i due poli estremi dell’agiografia di Padre Pio, appunto Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, ma strada facendo tanti sono stati i luoghi evocativi legati a questa figura straordinaria. «Penso ai vari conventi dei Frati Minori Cappuccini disseminati lungo il percorso, autentici scrigni pieni di sacralità e silenzi antenati in cui percepire chi ha abitato quei luoghi. In ognuno di essi ho cercato di simulare i punti di vista di Padre Pio: dagli altari ai chiostri, dalle celle alle rispettive finestre, dalle stanze del fuoco comune ai refettori. A San Marco la Catola (Foggia) ho contemplato per ore l’icona lignea di Santa Maria di Giosafat. A Sant’Elia a Pianisi (Campobasso) un altro capolavoro ligneo è la pala d’altare con le tele del 1714; ma qui ho ammirato anche la porta d’ingresso alla cella dove Francesco Forgione stette dal 1904 al 1907 e dove fu aggredito dal diavolo nelle forme di un “grosso cane, dalla cui bocca usciva tanto fumo”. Tra i monti Dauni, angolo inedito e segreto della Puglia, nel convento di Serracapriola (Foggia), invece, nel giardino c’è uno degli ulivi di cinque secoli, tra i più monumentali dell’intera regione, diviso in tre tronconi che Padre Pio (che qui risedette un anno, da 1907 al 1908) definiva: “Padre, Figlio e Spirito Santo”». Con questa benedizione il nostro “fotoviaggiatore” ha incontrato tanti fedeli, persone legate al culto di Padre Pio per i motivi più disparati. Ma di tutti i volti visti e le storie ascoltate, e in parte raccolte nel suo libro, un posto particolare spetta a un personaggio unico, Pepito. «Lo scorso agosto, conclusa la stesura del libro, ho preferito il mare del Gargano per fare un po’ come avevo già fatto a Finisterre alla fine del Cammino di Santiago, un gesto simbolico: bruciare una t-shirt indossata durante il percorso da Pietrelcina a Monte Sant’Angelo. In completa sicurezza, in un secchio di ferro, l’ho fatto su una spiaggia a Peschici, dove la Montagna del Sole s’infiamma al tramonto. Ci sono andato col mio amico fraterno Luigi Florio, foggiano di San Severo, anch’egli instancabile camminatore che ha mosso passi dalle Ande fino all’Himalaya. Tuttavia avevo ancora in corpo un fardello che mi toglieva calma e sonno e allora Luigi mi ha condotto da Pepito, un Tiziano Terzani del Gargano quanto a saggezza, seraficità e folta barba bianca. Pepito, 73 anni, al secolo Giuseppe Martella, a 11 anni, durante un ritiro sportivo a San Giovanni Rotondo, ebbe un alterco col mister della sua squadra di calcio. Uscì dal campo e girovagando per le campagne a mangiare fichi d’India, nottetempo si ritrovò nei pressi della chiesetta della Madonna delle Grazie dove fu ripreso da Padre Pio che gli intimò di tornare dai suoi compagni, perché lo cercavano impensieriti. Lui, sfacciatamente, gli chiese di benedirlo per farlo diventare un calciatore di successo. L’indomani mattina il frate con le stigmate volle rivederlo, ci fu uno scambio di battute burbere e il giovane peschiciano lo ammonì dicendogli non era affatto il santo che credeva che fosse. In tutta risposta Padre Pio lo portò in visita al convento e, alla fine del giorno, salutandolo gli disse: “Come tuo padre e i tuoi fratelli sarai un pescatore, più speciale però. Lascia perdere il pallone.” Appena l’ho conosciuto, Pepito mi ha stretto la mano e guardandomi negli occhi, mi fa: “Sono andato in mare aperto e sulle antenne dei trabucchi per calare reti, ma è da questa spiaggia che ho pescato di più. Laggiù,” indicandomi il largo, “a centinaia sono state le persone che ho tirato fuori salvandole dalle onde. Qui, sul bagnasciuga, invece, altrettante sono state quelle che ho fatto riemergere dai fondali della vita. Proprio come farò con te.” C’ero andato per starci un pomeriggio, sono andato via dal suo lido dopo parecchi giorni, portandomi via questa splendida storia legata a Padre Pio». Il precedente passaggio a Monte Sant’Angelo indica, non solo idealmente, il crocevia tra questo cammino di Padre Pio e quello micaelico. «San Michele Arcangelo è stato in assoluto la mia prima grande scoperta. Intesa proprio come esperienza umana. Fin da ragazzo ho cominciato ad esplorare i mondi sotterranei e non ho più smesso e questo mi ha portato a svelare nel buio le tracce miceliche negli antri di Olevano sul Tusciano e Sant’Angelo a Fasanella in provincia di Salerno, di Minervino Murge, di Putignano, di Orsara di Puglia o Cagnano Varano nel foggiano, fino alla cavità progenitrice di Monte Sant’Angelo, appunto, splendida terrazza che si affaccia sul mare del Gargano. Anni fa pubblicai anche un reportage fotografico con un pregevole testo del professor Cosimo Damiano Fonseca. Anche in questa ultima avventura, il Cammino di Padre Pio, soprattutto nelle sue ultime tappe, dal Tavoliere delle Puglie al Gargano si è ripetuto il “dialogo” con la Via Sacra Longobardorum: una delle grandi direttrici di pellegrinaggio del Medioevo che conduceva i cristiani al salvifico Angelus, ovvero alla grotta dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo».
E il viaggio del fotoreporter, irradiato da questa nuova luce angelica prosegue. Forte della grande esperienza provata, Carlos Solito rilancia una proposta che spera si possa concretizzare. «Padre Pio è, indubbiamente, il santo più pop del nostro tempo. Ovunque in Italia c’è una statua che campeggia ornata di fiori e aiuole: non c’è paese, frazione, città grande o piccola che non vanti una piazzetta dedicata. I suoi gruppi di preghiera, che hanno resistito alla sua morte, il 23 settembre 1968, e si sono impolpati di fedeli dalla sua canonizzazione il 25 febbraio 2002, professano (anche grazie a Padre Pio TV) l’eredità spirituale del frate di Pietrelcina con un’efficacia sorprendente offrendo spazio di meditazione e crescita interiore per coloro che desiderano avvicinarsi a Dio e rafforzare la loro fede. I devoti sono milioni in tutto il mondo e sono sicuro che ognuno di loro, se potesse, vorrebbe vedere e vivere gli stessi luoghi in cui San Pio scandì la sua. Perciò, credo che sarebbe auspicabile che questo percorso di 11 tappe, esteso per 630 chilometri, potesse impreziosirsi della stessa consapevolezza spirituale, addirittura segnaletica, strutture (tra ostelli e case dei pellegrini) e servizi che punteggiano e supportano il Cammino di Santiago. Sono convinto che il Cammino di Padre Pio diverrebbe un vero e proprio volano turistico, culturale ed economico per le aree interne del nostro Mezzogiorno toccate dal suo itinerario».