Una recente gara di Coppa del Mondo di salto con gli sci in Germania - Ansa/Anna Szilagyi
Tutti insieme appassionatamente. Quest’anno in alcune occasioni, il prossimo in un numero crescente di casi, dal 2026/27 in tutte le tappe. Il salto con gli sci mette sullo stesso piano uomini e donne e così la prima puntata della nuova stagione agonistica, venerdì a Lillehammer, sarà una gara a squadre miste con due maschi e altrettante femmine in ciascuna équipe. Ma la coppa del mondo ai blocchi di partenza verrà ricordata soprattutto per le nuove regole sulle tute, col tentativo di smascherare i furbetti del trampolino. Il regista delle novità regolamentari è il direttore di gara della Federazione internazionale sci e snowboard (Fis), il fiemmese di Predazzo Sandro Pertile, che dalla Norvegia tratteggia presente e futuro dello sport olimpico invernale con la più elevata audience televisiva.
Sandro Pertile, direttore di gara della Fis - Fis
Il dato è tratto, però per uniformare i calendari vi serviranno tre stagioni.
«Non crediate siano tante, considerando che noi ragioniamo sempre con 18 mesi di anticipo. Comunque la linea è chiara. Dal 2026/27 uomini e donne disputeranno insieme tutte le tappe, compreso il Quattro Trampolini. Sarà una rivoluzione che ci porterà a rivedere anche i format di gara».
Assisteremo a competizioni più brevi?
«Stiamo discutendo a stretto contatto con gli organizzatori per capire come ridurre i tempi di gara per soddisfare al meglio spettatori sul posto e pubblico a casa. L’idea è che entrambe le prove dovranno essere condensate in quattro ore con una pausa di novanta minuti tra una e l’altra. E siccome oltre le 18 non possiamo andare perché a quell’ora il sabato in Germania, il nostro principale mercato televisivo, scocca l’ora dei gol della Bundesliga in chiaro, l’idea è che le donne gareggino alle 13.45 e gli uomini alle 16».
Si ridurrà quindi il numero dei partecipanti?
«Tra le donne si potrebbero avere 30 saltatrici nella prima manche e 20 nella seconda, mentre con gli uomini al momento l’idea è continuare con 50 e 30, ma a condizione che ci sia interesse su tutti. Il serio rischio che corriamo è che la gente cominci a vedere la gara dopo i primi 20».
Passiamo invece alla vera novità di questa stagione, la stretta sulle tute. Come nasce il nuovo regolamento sull’abbigliamento degli atleti?
«La filosofia di fondo è assicurare l’equità delle competizioni e la sostenibilità economica e ambientale. Da qui l’obiettivo di ridurre il numero di tute che gli atleti possono indossare. Abbiamo accelerato il cambiamento perché ci eravamo resi conto di una tendenza sempre più spiccata che andava eliminata».
Quale?
«Nella seconda serie di salti, per ottenere misure più lunghe, gli atleti tendevamo a cambiare la tuta, indossandone una più grande, al di fuori del regolamento, sfruttando il fatto che il controllo delle attrezzature avvenisse soltanto nella prima serie».
In concreto cosa avete cambiato?
«Abbiamo introdotto un tetto sul numero delle tute e inasprito i controlli. L’anno è diviso in 7 periodi, due estivi e cinque invernali, in ognuno dei quali l’atleta può indossare una sola tuta, con tre vestiti in più negli anni con Mondiali o Olimpiadi. Su ciascuna divisa verranno inseriti sette microchip che collegheranno in maniera univoca l’attrezzatura al saltatore. I controlli avverranno in entrambe le serie di salti».
Ridurre il numero delle tute porterà a gare più eque?
«L’anno passato alcuni ne hanno utilizzate 6 o 7, mentre altri più di 40, ora al massimo se ne avranno dieci. Si ridurrà quindi l’investimento necessario per l’acquisto, considerando che il costo varia dai 600 ai 700 euro a tuta. Infine rispetteremo l’ambiente, perché azzereremo il fenomeno delle tute indossate per un solo salto e poi cestinate».
I valori in campo cambieranno?
«Le sei nazioni forti resteranno tali, ma alle loro spalle si assottiglierà il gap con le altre. Mi aspetto che nuove bandiere appaiano nella prima decina».
Come mai il salto cresce di più rispetto alle altre discipline invernali, pur non avendo grandi personaggi mediatici?
«Perché il nostro è un sistema dove ci si rispetta e si lavora insieme. Tra gli sport della Fis abbiamo registrato il maggior incremento sui social, adesso dobbiamo diventare più globali».
Quali mercati avete puntato?
«Gli Stati Uniti e l’Oriente. Per il terzo anno consecutivo torneremo a Lake Placid, stavolta anche con le donne, che disputeranno anche una gara in Cina. L’obiettivo è abbinare sport e intrattenimento, un fronte che si presta benissimo al nostro sport ».
Il test preolimpico nella sua Val di Fiemme è saltato, perché i nuovi trampolini di Predazzo sono ancora in costruzione. La preoccupa il ritardo nei lavori?
«Assolutamente no, ogni lunedì quando sono a casa vado a fare un sopralluogo e vi assicuro che l’avanzamento è notevole. L’opera sarà completata all’inizio dell’estate e nella prima settimana di luglio si svolgerà un test event su plastica, mentre a fine settembre ci sarà una tappa del Summer Grand Prix».
È rimasto un buco in calendario alla fine del Quattro Trampolini. Occasione persa per dar spazio ad altre località o scelta strategica?
«Decisamente la seconda. Ormai la stagione si è allungata e l’anno scorso a Planica gli atleti sono arrivati stanchi e ci sono state sette cadute nel week-end, troppe. Dobbiamo andare verso un modello più leggero, quindi nei prossimi calendari ci saranno fine settimana liberi dopo una serie di prove ravvicinate».
Si arriverà mai ad avere in gara team professionistici, come avviene nel ciclismo, anziché le squadre nazionali?
«La questione è delicata, perché da ciò discende il futuro del nostro sport. Se guardiamo solo all’alto livello, certamente avere team privati alzerebbe l’asticella della qualità e incrementerebbe lo spettacolo. Se si osserva invece l’intero sistema, si corre il rischio che con il loro ingresso le federazioni nazionali smettano di investire sui giovani, perché poi non potrebbero sfruttarli nel fiore dell’agonismo, col conseguente impoverimento dei vivai. Servirebbe un meccanismo di indennità nei confronti delle squadre nazionali per non far perdere loro l’incentivo ad allevare i giovani».