La figura di Pio XII, com’è noto, ha prodotto una serie di riflessioni sul suo atteggiamento durante la seconda guerra mondiale. Sono temi non facili, con una serie di scenari tragici, come ad esempio la Shoah. Ci si chiede quali scelte operò la Chiesa di Pio XII, e perché proprio quelle.Ma non di rado ci si imbatte anche in errori di prospettiva. Il primo errore consiste nel sopravvalutare il potere della parola papale. Il presunto "silenzio" di Pio XII di fronte allo sterminio degli ebrei non è che una conseguenza di tale sovrastima: infatti non è provato che una chiara condanna di Hitler dal sagrato di San Pietro avrebbe prodotto una "andata a Canossa" del Führer.Il secondo errore, figlio del primo, vuole la Santa Sede in grado di surrogare, con la sua autorevolezza morale, l’inconsistenza politico-diplomatica di molti Paesi europei. Accontentare Hitler in ogni sua richiesta, con la falsa speranza che fosse l’ultima, non fu il vero fallimento dell’Europa? L’
appeasement di Monaco del 1938 non ne è forse il simbolo? La realtà degli anni Trenta e Quaranta era più cruda. L’Europa non era una
Respublica sub Deo prona alla parola papale; il mondo politico era ancora figlio dei Lumi e della Rivoluzione francese, del Positivismo e del Razionalismo. Ogni Chiesa non era che un "ridotto" morale-religioso riservato ai soli fedeli. Dire pertanto che la scomunica di Hitler sarebbe bastata a fermare i massacri è affermare l’indimostrabile.Entriamo invece negli eventi da contemporanei di Pacelli. L’ascesa al Soglio di Pio XII rappresentò fin da subito per Hitler un grande problema politico. «Tutte le speranze per una migliore intesa tra la Santa Sede e il Governo germanico sono state abbandonate oggi a Berlino quando è stata resa nota l’elezione di Eugenio Pacelli come Papa Pio XII. I circoli nazisti hanno descritto il nuovo Papa come "antinazista e antifascista senza compromessi". Lo hanno biasimato per le encicliche papali degli ultimi anni, che hanno aspramente attaccato la dottrina razzista del nazismo. Essi hanno detto che il nuovo papa è "uno di quei preti che si sono alleati con il marxismo e con la Germania del dopoguerra" [la vituperata Repubblica di Weimar]». A scrivere così da Berlino, il 3 marzo 1939, è Sigrid Schultz, autorevole corrispondente del
Chicago Tribune (sarebbe poi diventata una celebre corrispondente di guerra), in un articolo dedicato all’ascesa di Eugenio Pacelli al Soglio pontificio. La Schultz aggiungeva poi che l’elezione di Pacelli era stata invece salutata positivamente nei circoli protestanti e in Inghilterra. Uguale accoglienza vi era stata in Francia, che considerava il nuovo Papa «un alleato del blocco anti-fascista». «In ambienti francesi bene informati – scriveva lo stesso giorno da Parigi Edmond Taylor – vige la convinzione che Pio XII seguirà una linea estremamente ferma verso i tentativi degli Stati totalitari di invadere ciò che la Chiesa ritiene essere le sue prerogative spirituali e materiali»."Alleato delle democrazie" ed erede naturale di Pio XI suo predecessore. Così l’Europa democratica giudicava Eugenio Pacelli. Nello stesso senso si esprimeva il
Los Angeles Times, aggiungendo che il nuovo Papa piaceva a Washington. E proprio il
Washington Post non mancava di notarne la sobrietà dei costumi: «Pio XII ama l’oscurità della vita monastica»; la sua ascesa al Soglio contrastava fortemente con la sua indole ascetica.Guardando a quei tempi, si vede poi come la parola di Pio XII suonasse abbastanza chiara ai suoi contemporanei. La sua prima enciclica,
Summi Pontificatus (dedicata alla Polonia, vittima dell’attacco congiunto russo-tedesco dell’autunno 1939) gli guadagnò dal
New York Times l’appellativo di «militante per la pace». A pochi giorni dalla diffusione dell’enciclica, nell’edizione del 19 novembre 1939, Herbert L. Matthews, corrispondente romano del celebre quotidiano statunitense, così scriveva: «Il sigillo è stato ormai posto sul regno di Pio XII da una serie di vigorosi pronunciamenti. Quando la sua prima enciclica è stata pubblicata, il 28 ottobre, il mondo l’ha immediatamente salutata come l’opera di un grande Pontefice. Otto mesi di sforzi apparentemente infruttuosi, cauti e senza speranza sono alla fine culminati in un pronunciamento che farà sicuramente profonda impressione nella storia contemporanea».Inoltrandoci nei tragici anni del conflitto, gli archivi hanno ancora tanto da dirci. Dovessimo ipotizzare novità dalle carte vaticane, ci soffermeremmo su tre circostanze. Anzitutto non ci sorprenderebbe scoprire legami tra il Papa e le agenzie di soccorso ebraiche internazionali più forti di quanto non si creda, e alimentati da mutua fiducia. In secondo luogo, non esiteremmo a parlare di "priorità divergenti" tra Vaticano e Alleati: per questi ultimi debellare la Germania era la precondizione per occuparsi d’altro; ma per il Papa era prioritario salvare vite umane, concentrandosi sugli ebrei e sulle vittime della guerra. Un terzo elemento potrebbe essere la ripresa di un dialogo tra il Vaticano e Mosca, forse già sul finire della guerra. Timidi segnali si erano colti già dopo il 1919. La fine del secondo conflitto pose forse le basi per una ripresa di scambi, avendo per terreno comune quella libertà di culto pure riconosciuta dalla Costituzione sovietica del 1936. L’ipotesi è avvalorata dall’attenzione che il Vaticano prestò a Radio Mosca, certamente attraverso apposite stazioni di ascolto (forse operanti anche per le emissioni da altri Paesi).Sono queste tuttavia solo ipotesi che le carte di Pio XII (la cui apertura, non si sa se completa, avverrà presumibilmente nel 2015) potranno confermare o smentire.